di VALERIO BARONCINI - E se la notte più difficile per il Pd finisse per diventare, per l’Emilia-Romagna, la notte delle grandi occasioni? Se, per una volta, non grazie alla figura di Romano Prodi, la nostra regione riuscisse a esprimere un leader nazionale? Da decenni questa materia è croce e delizia del centrosinistra, con una domanda cui non si ottiene risposta: com’è possibile che la roccaforte democratica, la ex federazione comunista considerata più forte d’Europa, porti un tesoretto di voti, ma non abbia mai in dote il volto forte della politica nazionale? Questa distonia potrebbe essere colmata, anche se nell’ora più buia del Pd. In primis dal presidente della Regione Stefano Bonaccini, da mesi al centro del dibattito precongressuale, e sempre più spinto da una centralità nazionale e dai disastri altrui. E poi da Elly Schlein, vicepresidente di viale Aldo Moro e ora in volo per Roma, in un’onda mediatica transnazionale. Altri ragionamenti che derivano dai primi risultati che ci consegnano le urne. Numero uno: in Emilia e nelle Marche, Fratelli d’Italia quasi decuplica i consensi rispetto a cinque anni fa, con un testa a testa col Pd da Piacenza a Rimini (alle 2.30 26% per i meloniani, 27,4% per i dem) e una netta affermazione nella regione guidata (toh) da Francesco Acquaroli, 29% a 20%. Primo partito. Numero due: a scrutinio a metà corsa Bologna resta l’unica cosa rossa dell’Emilia-Romagna senatoriale (e la sinistra estrema, da sempre attorno al 10, finisce sotto il 4). L’unico sopravvissuto fra i ‘compagni’ è il ‘compagno anomalo’ Pier Ferdinando Casini: sarà un caso? Numero tre: stare sul territorio paga. Lo dimostra il risultato di Fratelli d’Italia, per esempio con Galeazzo Bignami e Marco Lisei, ma anche con molti amministratori romagnoli. Questo boom non è solo il frutto di una tendenza nazionale.