PIERFRANCESCO PACODA
Cultura e spettacoli

Paolo Jannacci: "Viaggio in musica con papà"

Domani sera il concerto del cantante e compositore in piazza Maggiore a Bologna. L’omaggio al grande Enzo alla Strada del jazz

Paolo Jannacci (foto di Simone Galbiati e Nicola Allegri)

Paolo Jannacci (foto di Simone Galbiati e Nicola Allegri)

Ha raccontato una Milano comune eppure sempre fantastica, affollata di personaggi presi dalla strada e perfetti per diventare protagonisti di una saga cinematografica. Come ricche di suggestioni visive, di capacità evocativa erano le canzoni di Enzo Jannacci, il medico-cantautore scomparso nel 2013, le cui ballate tornano in scena nello spettacolo che ha come protagonista il figlio Paolo, In concerto per Enzo, che va in scena domani (ore 21.30) in Piazza Maggiore all’interno della Notte Bianca delle stelle del jazz.

Paolo Jannacci, il rapporto suo, e di suo padre, con il jazz è sempre stato molto forte.

"Come per papà, il jazz per me ha rappresentato la vera scuola musicale, sono i grandi jazzisti i maestri che ho sempre provato ad emulare, seguendo anche i consigli, e gli ascolti, di Enzo. Il jazz è il linguaggio musicale che, più di tutti, riesce a esteriorizzare la propria soggettività, a metterti a nudo di fronte al pubblico. Per questo è un onore per me essere nel cartellone della Strada del Jazz".

Per lei, come per Enzo, il jazz diventa poi canzone.

"Certo, il repertorio di mio padre è fatto di ballate, il virtuosismo dei jazzisti è al servizio del pop, della godibilità dell’ascolto. E se scrivi melodie che rimangono nella testa degli ascoltatori puoi usarle per creare canzoni fuori dagli schemi, poco convenzionali".

Proprio come quelle di Enzo Jannacci.

"Quelle che proporrò nello spettacolo di domani sera a Bologna, che è concepito come un viaggio nella creatività di Enzo Jannacci, con tantissime sue canzoni, non solo quelle più famose, ma tante che solo di recente hanno raggiunto il grande pubblico. Segno della sua capacità di essere fuori dal tempo, universale, partendo sempre dal particolare, dal dettaglio, da quelle figure che nessuno avrebbe mai degnato di uno sguardo e che invece lo affascinavano, costituivano la straordinaria ricchezza umana della sua amata Milano".

Quali sono i brani che esegue con maggior piacere?

"Difficile segnalarne solo qualcuno. Sicuramente Giovanni Telegrafista, El purtava i scarp del tennis, perché rappresentano quell’universo sociale al quale papà ha voluto dare dignità culturale. Sono canzoni che, adesso, sembrano ancora più attuali di quando sono state scritte e le persone, forse più oggi che allora, se ne innamorano".

Sarà, quello di domani, un concerto dalle caratteristiche jazz.

"Sicuramente, dal vivo intervalliamo le composizioni scritte da Enzo con alcune pagine strumentali ispirate alla musica afro americana, proprio per ricostruire quella che è stata la dimensione autentica del lavoro di papà. E poi c’è uno scambio continuo tra di noi, momenti teatrali, cabarettistici, dove spesso gli strumenti danno voce, come in Vengo anch’io. No tu no, ai versi degli animali. Uno sguardo su quella realtà milanese del cabaret che è stata centrale per l’arte di mio padre".

Paolo Jannacci, lei è cresciuto in una famiglia dove la musica era la quotidianità. Quando ha deciso che anche per le la canzone sarebbe stata la vita?

"Con un padre come Enzo, la passione per la musica mi ha accompagnato sin da quando ero un adolescente. Papà mi aveva regalato una piccola tastiera, delle casse, avevo trasformato la mia cameretta in uno studio di registrazione, collaboravamo. Poi, dopo le superiori, ero indeciso su quale delle due professioni di papà, il chirurgo o il cantante, approfondire. E fu Enzo a dirmi che il mio talento era nella musica e non nella medicina. E in quel momento per me è iniziato tutto".