di Andrea Spinelli
Gli anni d’oro del grande Real, di Happy Days e di Ralph Malph, sbarcano oggi e domani allo stadio Dall’Ara di Bologna con quel karaoke extralarge che è il nuovo kolossal da stadi di Max Pezzali (nella foto di Alessandro Bremec). "Se il mio primo sogno della vita era fare San Siro e il secondo il Circo Massimo, dopo aver cantato in entrambi gli spazi mi sono chiesto cosa fare", ammette sul palco pop-up ideato per questo nuovo show da Sergio Pappalettera, utilizzando elementi gonfiabili attinti dall’immaginario delle copertine-cartoon dell’epopea 883. Alla fine, Pezzali ha scelto di rilanciare su questo suo formidabile momento e imbarcarsi in un vero e proprio tour negli stadi: "A 56 anni sono uno dei debuttanti più vecchi in circolazione, ma, proprio per questo, ogni emozione vale il quadruplo". Una festa che già dal titolo Max Forever (Hits Only) promette due notti a squarciagola: "...perché quelli che stanno lì sotto al palco ci credono anche più di me e vanno premiati".
È lo stadio a cantare Max, più del contrario.
"Sono convinto di non aver ricevuto dalla vita doti o talenti particolari, ma solo il privilegio e la fortuna di scrivere canzoni entrate nella vita della gente. Quella che ai concerti si ritrova sotto al palco e canta con tutto il fiato che ha, legata da uno straordinario senso di comunità".
Una mega celebrazione degli anni Novanta.
"Gli anni Novanta raccoglievano una speranza di futuro che arrivava e le certezze del mondo precedente. Un decennio ottimista nonostante le stragi di mafia, compensate però da una decisa reazione della società civile. Stessa mobilitazione di massa davanti alla tragedia della ex Jugoslavia. Oggi c’è una sensibilità diversa. Ma io sono un ‘bicchierepienista’, convinto che la maggior consapevolezza degli eventi offerta dal massiccio utilizzo dei social possa aiutare a risolvere le crisi più velocemente. Una volta le cose accadevano che senza nessuno lo sapesse in tempo reale, oggi è più facile farle circolare e verificarle: da lì nasce il mio ottimismo".
Perché la musica moderna non regge la sfida del tempo?
"Non riesci a starci dietro. Hai un’enorme soddisfazione di dopamina quando ascolti qualcosa che ti piace, ma non riesci a starci dietro perché ne hai bisogno subito di un’altra. Questo fa sì che tutto rimanga nell’area dell’emotività e non arrivi in quella della memoria che ha bisogno di tempo, invece, per processare le informazioni".
Quindi?
"Un tempo usciva molta meno musica, ma avevi il tempo per mandarla a memoria. La logica dell’album ti consentiva di conoscere l’artista anche sotto aspetti non necessariamente commerciali, mentre quella del singolo no. Attingendo un paragone dalla mia passione per i motori, oggi viaggiamo tutti su un circuito velocissimo in cui non c’è posto per le Harley, ma solo per le moto da gran premio".
Per questo gli editori si orientano preferibilmente sui cataloghi anteriori ai Duemila?
"I cataloghi vecchi ti offrono la certezza di investire su musica che resta, mentre gli altri no. E così chi vive di questo mestiere preferisce andare sul sicuro piuttosto che sul possibile".
Un giorno o l’altro rifarebbe Sanremo?
"Il Festival richiede un’attitudine mentale capace di tirarti fuori tutto in tre minuti, mentre io, che ho la sindrome del passista, in quel breve lasso di tempo non riesco neppure a capire dove mi trovo. Meglio le due ore e un quarto del concerto. Sanremo comporta la volontà di creare un progetto tutto focalizzato sul Festival, perché, se vai tanto per andare, meglio allora buttarla sul ciclismo, che alla mia età fa pure bene alla salute".