
L’opera, diretta dal Maestro Mariotti al Rof, migliore spettacolo dell’anno. All’epoca fu il grande fiasco del compositore: "Pagò per la sua modernità". .
È il riscatto di ’Ermione’. Per l’opera di Gioachino Rossini, tra le meno frequentate e sicuramente tra quelle che non diedero al Cigno molte soddisfazioni (la prima al San Carlo a Napoli nel 1819 si tradusse in un vero e proprio fiasco), sembra essere arrivata la giustizia del tempo. Male accolta dal pubblico dell’epoca, non tanto per la partitura quanto per il libretto dal finale tragico, l’opera conosce oggi una riscoperta che ha il sapore di una rinascita. Gli artefici? Tanti. Soprattutto il Rossini Opera Festival e l’allestimento dell’opera andato in scena la scorsa estate che si è aggiudicato il Premio Abbiati per miglior spettacolo dell’anno. Considerato l’ Oscar della musica colta, il riconoscimento della critica musicale è andato alla direzione di Michele Mariotti, alla regia di Johannes Erath con le scene di Heike Scheele, i costumi di Jorge Jara, i video di Bibi Abel e le luci di Fabio Antoci. Mariotti ha diretto l’Orchestra Sinfonica della Rai, il Coro del Teatro Ventidio Basso e un cast composto da Anastasia Bartoli, Viktoria Yarovaya, Enea Scala, Juan Diego Flórez, Antonio Mandrillo, Michael Mofidian, Martiniana Antonie, Paola Leguizamón, Tianxuefei Sun. È vero che si è trattato di un lavoro corale, ma tra i principali artefici di questo premio c’è senza dubbio Michele Mariotti.
Maestro, il Premio Abbiati con ’Ermione’. Se lo aspettava?
"È stata una piacevolissima sorpresa. Ero a Vienna quando l’ho saputo e sono stato felicissimo perché si tratta della vittoria di tutti. Non si vince solo per il cast ma per quello che metti in scena. E questo era uno spettacolo molto poetico con un linguaggio riconoscibile. È una vittoria di tutti a partire dall’Orchestra, ma anche una vittoria del Rof che mette sempre nella migliore delle condizioni artisti e maestranze".
Sì, ma il cast ha avuto il suo peso…
"Ripeto, è stato un lavoro di squadra; lo dissi anche al Rossini d’oro. Gli artisti si dividono in due categorie: quelli che fanno le interviste e quelli che non le fanno. E tra quelli che non vengono intervistati ci sono i truccatori, i costumisti, i macchinisti, gli elettricisti; insomma tutti quelli dei titoli di coda. Auspico che prima o poi ci sia un Abbiati anche per loro".
Una regia che ha assecondato la musica...
"Con Johannes ho lavorato anche in altre occasioni e mi sono sempre trovato benissimo; che dire, quando c’è una sensibilità artistica e capisci che in uno spettacolo con cui vai in scena la musica non è solo una colonna sonora, allora tutto è più semplice".
E poi c’è Rossini.
"Ovviamente. ’Ermione’ è un capolavoro. Confesso che dopo aver diretto ’Semiramide’ (2019 ndr) avevo detto espressamente a Palacio che sarei tornato a Pesaro ma solo per dirigere ’Ermione’".
Perché Ermione è un capolavoro secondo lei?
"Insieme al Guillaume Tell è un’opera di svolta che guarda al futuro. Già il Tell è preromantico ma qui ci sono davvero tutti i semi della modernità di Rossini. Un Rossini che non si volta indietro e che decide di rompere con le forme classiche. Basti pensare alla sinfonia che ad un certo punto si interrompe con il coro; ai cambi continui, ai rovesciamenti di fronte oppure a un duetto che ad un certo punto si sgretola. Forse anche per questo Ermione all’epoca pagò per la sua modernità".