STEFANO MARCHETTI
Cultura e spettacoli

Fellini, Zavoli e Rimini. Il lungo legame di paese

Nel libro di Gianfranco Miro Gori ’Provinciali del mondo’ i dialoghi di una vita. Il testo ha ispirato anche il docufilm ’Il sole tramonta alle spalle’ di Mauro Bartoli.

Fellini, Zavoli e Rimini. Il lungo legame di paese

Nel libro di Gianfranco Miro Gori ’Provinciali del mondo’ i dialoghi di una vita. Il testo ha ispirato anche il docufilm ’Il sole tramonta alle spalle’ di Mauro Bartoli.

Federico Fellini chiamava Sergio Zavoli la mattina presto, fra le sette e le sette e mezza: "Mi telefonava quando aveva un sogno da raccontare – ha rivelato il celebre giornalista, scomparso quattro anni fa –. Ma lui sognava tanto, quindi questa telefonata arrivava quasi tutte le mattine. Io gli davo la mia interpretazione, qualche volta lui mi prendeva in giro e mi diceva: ‘Ma sei un dilettante, questo l’avevo già capito anch’io’..." E poi ci fu volta in cui, insieme a Enzo Biagi, Zavoli andò a far visita a Fellini all’ospedale di Rimini dove era ricoverato. "Come fai a sopportare questo silenzio?", gli chiese Biagi. "Mi limito a pensare", rispose il regista. "A che cosa?". E Fellini, guardando le due infermiere che lo accudivano: "A innamorarsi ancora una volta!". Sono soltanto alcune delle pagine di una lunga amicizia tra Fellini e Zavoli, due riminesi che seppero conquistare altri orizzonti, che Gianfranco Miro Gori, studioso e poeta romagnolo, già direttore della Cineteca di Rimini, ci racconta nel suo ’Provinciali del mondo’, il libro - intervista (Aiep editore) che riunisce i dialoghi con Zavoli, Pupi Avati e lo sceneggiatore e regista Gianfranco Angelucci, e che ha ispirato anche il docufilm ’Il sole tramonta alle spalle’ diretto da Mauro Bartoli. Le storie incrociate di Fellini e di Zavoli aiutano a ricostruire questo peculiare ’immaginario riminese’.

Gori, lei ha conosciuto sia Zavoli che Fellini. Che ricordo ne porta?

"Con Sergio, sia pure nella differenza di età, eravamo amici e lui mi ha insegnato molto, soprattutto il rigore, l’onestà intellettuale e la ‘compassione’, nel senso più alto della parola. Di Fellini direi di essere stato... l’inseguitore ufficiale".

Ovvero?

"Da quando fui chiamato a dirigere la Cineteca di Rimini, gli parlai e gli scrissi più volte, e spesso ho cercato di riportarlo a Rimini per qualche evento ufficiale. Ma lui, pur rispondendomi sempre con grande cortesia, non ‘capitolò’ mai. E quando nel 1989 il Beaubourg di Parigi organizzò una retrospettiva su Rimini, dopo un lungo tira e molla, decise di non partecipare di persona ma delegò la moglie Giulietta, straordinaria".

È vero, come qualcuno pensa, che Fellini non amava Rimini?

"Assolutamente no, Fellini era sicuramente molto legato a Rimini e al mondo della sua infanzia. Ma, mentre Zavoli ci tornava sempre volentieri e a volte inviava perfino un collaboratore da Roma per acquistare piadine e sangiovese, Fellini aveva una forma di ritrosia: dicono fosse il ‘complesso del traditore’, cioè di colui che se ne era andato per far fortuna altrove. Quando tornava, lo faceva sempre in maniera privata: una passeggiata con Titta Benzi, due chiacchiere con Tonino Guerra, magari una cena con amici, nulla di ufficiale. In realtà non amava le cerimonie e – come disse una volta – temeva sempre che si trasformassero in ‘patacate’...".

Come è entrata Rimini nel lavoro di Zavoli e Fellini?

"Federico Fellini ha sempre messo in scena Rimini, e della sua infanzia provinciale ha fatto nutrimento poetico, sempre vivendola alla distanza. Nel suoi film Rimini è sempre evocata, mai citata esplicitamente. E, come si sa, non ha mai girato una scena a Rimini, ricostruendola sempre in studio. Zavoli, a mio parere, ha desunto dalla sua anima riminese la capacità di portare sulla scena anche gli ultimi e di realizzare una vera epica popolare: in questo senso il suo ‘Processo alla tappa’ televisivo, durante varie edizioni del Giro d’Italia, è stato esemplare".

E fra loro che rapporto c’era?

"Una profonda amicizia e complicità affettuosa. Come rivela Angelucci nel libro, Sergio cercava in Federico anche un confidente, qualcuno che lo aiutasse anche a sciogliere tante angosce. E dopo la morte di Fellini, Zavoli disse che Federico era dentro di lui, ‘è il lavoro, la moglie, il fratello, l’amante, Federico è tutto’..." - Davvero, come si legge nel libro, potrebbero essere definiti due vitelloni?

"Certamente non nel senso comune di perdigiorno, malvagi e cattivelli. Con Fellini e Zavoli siamo di fronte semmai a un ‘vitellonismo’ da considerare con benevolenza. E soprattutto Federico aveva una componente anarchica e trasgressiva: in quello, sì, lo si poteva dire un vitellone".