"La storia che ho scritto è simbolo di ciò che sono e per essere ciò che sono ho dovuto scrivere quella storia". In arrivo domani al Locomotiv di via Serlio, Emma Nolde cita l’Aleph di Borges per raccontare le intenzioni che stanno dietro a Nuovospaziotempo, suo terzo album in quattro anni.
Nella quiete di quella San Miniato in cui è nata e cresciuta, la ventiquattrenne pisana ha scritto infatti un disco contro la velocità di questi anni affannati e lo presenta al pubblico bolognese accompagnata da Marco Martinelli alla batteria, Andrea Beninati a violoncello, percussioni, piano e basso, e Francesco Panconesi al sax, piano, synth e cori.
"Cantare canzoni nuove è più adrenalinico che farlo con quelle del repertorio" ammette lei, 24 anni, "perché magari ad ascoltarti ci sono le persone a cui ti sei riferita in quei testi (Universo parallelo, ad esempio, parla del padre, ndr) e diventa un faccia a faccia".
Nella fisica la teoria della relatività ristretta stabilisce un’equivalenza tra lo spazio e il tempo. E nella musica?
"No. C’è qualcosa di stridente tra lo spazio che viviamo e il nostro modo di vivere il tempo. Nella mia giornata-tipo, ad esempio, tranne il momento in cui rincasa mamma, ho solo relazioni digitali. Questo tipo di dinamica mi scolla dal tempo e dallo spazio fisico che vivo".
Di tempo non ne è passato molto tra il disco precedente e questo.
"Vero. Ho iniziato a lavorarci che Dormi non era ancora uscito. Questo perché Dormi è nato in quarantena e sentivo il bisogno di qualcosa di più aderente al momento che stavo vivendo. Finito il liceo scientifico, infatti, mi sono ritrovata chiusa in casa dalla pandemia, costretta a rimandare l’incontro con l’età adulta e con la realtà, le consapevolezze, i problemi della maturità. Quando questo è avvenuto, ho trovato tutto abbastanza impressionante perché mi sono trovata a fare i conti con cose a cui la velocità toglie spesso la possibilità di essere godute".
Crede nel potere delle parole?
"Sì. Andrea Marcolongo in un suo libro intitolato Alla fonte delle parole racconta come in quei paesi dove non esistono le parole giuste per esprimere alcuni sentimenti si registrino numerosi casi di schizofrenia e di suicidio. Ecco, io credo all’ordine delle parole".
Riferendosi alla sua vita parla di dinamica strana. Perché?
"I miei hanno divorziato quando avevo dieci anni; una mia sorella fa la ballerina e vive lontana da casa dall’età di tredici anni, l’altra ama la città e abita col babbo, io con mamma che però sta pensando di andare a vivere dal compagno. Quindi, tra qualche tempo, sono io quella che dovrà decidere cosa fare".
Perché, nel disco, a Niccolò Fabi chiede un punto di vista, mentre a Mecna e a Nayt uno di domanda?
"Perché Fabi potrebbe essere mio padre e mi viene naturale chiedergli delle certezze, mentre Mecna e a Nayt li vedo immersi nei dubbi e nelle domande che mi pongo pure io".