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Il giovane comico interpreta Cisco, l’amico di Max Pezzali. Stasera al Locomotiv di Bologna il suo show ’Millennium Bug’
Su Instagram ha quasi 90.000 followers e visto che i suoi social lui non li coltiva per niente, come racconta la periodicità dei post, una buona parte della notorietà è arrivata con ’Hanno ucciso l’uomo ragno’, la serie sugli 883 firmata da Sydney Sibilia (già in lavorazione la seconda stagione Nord Sud Ovest Est) e coprodotta da Sky e Groenlandia di Matteo Rovere, dove lui recita la parte di Cisco, il migliore amico di Max Pezzali. Ma chi segue Davide Calgaro e chi l’ha visto su Sky catapultato negli anni Novanta, ha così scoperto un esponente della generazione Zeta (è nato nel 2000) che ancor prima di essere attore ha deciso di darsi al vintagissimo lavoro di comico, che oggi si pronuncia stand up comedian. Stasera alle 21 sarà al Locomotiv di Bologna col nuovo spettacolo ’Millennium Bug’, la sua generazione coi suoi comportamenti, centrifugata a ritmo di tagliente ironia per un esorcismo collettivo.
Davide Calgaro, come si è ritrovato nel mondo anni Novanta degli 883?
"Dopo una serie di provini per interpretare Max, mi hanno mandato a fare il provino per Cisco. Penso che alcuni lati di Cisco, tra cui la sua vena ironica e il suo essere un po’ l’amico senza peli sulla lingua, siano presenti anche in me e quindi ho cercato di caricarli. Sentivo un po’ la difficoltà dell’interpretazione perché Cisco esisteva nell’immaginario dei fan, viene citato in alcune occasioni, ma non era conosciuto di persona e ho cercato di costruirlo partendo dalla sceneggiatura e intuendo quale potesse essere la sua personalità. Cisco e Max hanno due caratteri differenti ma hanno un bellissimo rapporto che portano avanti sin da bambini. Lui è diretto, continua a trattare Max alla pari, da amico della provincia".
Lei, figlio della Gen Z, ha colto il segreto del successo degli 883 e della serie, già cult?
"Hanno raccontato vite normali, comuni, di ragazzi di provincia che passano le giornate al bar e poi alla sera vanno in giro per locali, carichissimi... E proprio questo loro coraggio di parlare di vite normali li ha portati al successo".
C’è spesso nostalgia per epoche che non abbiamo vissuto: lei lo ha provato per gli anni Novanta?
"Facendo la serie un po’ di nostalgia per gli anni Novanta mi è venuta, più che altro per dinamiche che non ho mai conosciuto: la lentezza nella comunicazione, il dover aspettare per sentire una persona, chiamare a casa della ragazza con cui si vuole uscire e dover parlare col padre, dover sapere attendere per realizzare un sogno... Mentre oggi basta un reel per svoltarti la vita, ma poi sarai capace di mantenere questo traguardo? Credo che mi sarebbe piaciuto vivere le cose come negli anni Novanta. E credo di essere nostalgico dei Novanta come comico, perché sono cresciuto con gli aneddoti dei comici del passato che ho conosciuto con Zelig e che mi raccontavano di questo mondo del cabaret con un fermento artistico fortissimo e luoghi che sfornavano grandissimi talenti. Mi dispiace un po’ essere arrivato dopo, anche se oggi c’è la stand up comedy e i locali che organizzano serate".
Stand up comedian… ora si chiama così il comico. Perché ha deciso di fare questo lavoro?
"Già quando guardavo Zelig e i miei comici preferiti erano i monologhisti, Migone, Giacobazzi e Gioele Dix, intuivo che questa formula fosse la mia preferita, quindi anche se noi oggi ci chiamiamo stand up comedians, sempre di monologo si tratta. Per me è stata decisiva la conoscenza dei comici americani, con quel modo molto personale di raccontare che non fa leva sugli stereotipi degli altri, ma parte da te. Quando ho iniziato a scrivere a 15 anni e sentivo le gag sulle mogli, ad esempio, mi chiedevo di cosa avrei potuto parlare io che una moglie non l’avevo… Ecco che ho iniziato a parlare di mia mamma come fosse mia moglie".
Perché le è piaciuto da subito raccontare di se stesso su un palco, come fa nel suo spettacolo Millennium Bug?
"Nel momento in cui racconti cose vere della tua vita, come faccio io che parlo della mia generazione con la dipendenza dai social, dal porno, dallo psicologo, la comicità può avere un effetto terapeutico enorme. Potrei dire che la stand up comedy è il contrario dei social, dove tutti emergono come vincenti, perché sul palco racconti le cose peggiori, i pensieri più torbidi. Per questo mi piace stare lì da solo davanti alla gente reale".