Era d’estate, ricordo. Il pomeriggio pigro e quella conversazione, sussurrata dalla vicina di ombrellone al marito: «Lui è simpatico, divertente; lei molto cupa». Parlavano di me. Quand’era successo? Come avevo permesso che la ragazza brillante e chiassosa di qualche anno prima, piena di interessi e sempre circondata di amiche, si trasformasse in una persona ‘molto cupa’?
Era stata la prima crepa di una costruzione che mi ostinavo a considerare indistruttibile. Ma sarebbero passati mesi, anni, prima che quel castello – fatto di isolamento, menzogne, buio, calci, pugni e fiotti di sangue inghiottito a fatica – si sgretolasse del tutto.
Non esistono chiavi magiche per aprire la porta di quel castello, scappare e buttarsi tutto alle spalle. Quando convivi con un compagno violento, impari presto a nascondere lo sporco sotto il tappeto. A coprire i lividi con tanto trucco e tacere, sia dentro che fuori casa.
"Nessuno può capire il nostro amore, nessuno comprende che noi litighiamo perché ci amiamo troppo", ti ripete. Ed è così che cominci a isolarti dalla famiglia, a perdere le amiche, a coprire di bugie i colleghi che ti chiedono il perché di quelle lacrime improvvise. E ti ritrovi da sola, paralizzata dalla paura e dalle parole che lui ti ha urlato l’ultima volta che hai tentato di fare le valigie. "Dove credi di andare senza di me? Tu da sola non esisti. Vivrai di stenti perché non potrai più permetterti la vita che facevi con me".
Ecco, è proprio in quel momento, il momento orribile in cui toccherai il fondo, che dovrai ricordare una cosa: anche tu hai qualcosa di bello e buono da cui ripartire, sebbene in questi anni ti sia convinta del contrario. La strada per la risalita è tortuosa e accidentata, ma ha una fine. Non sei sola, non siamo sole.