FILIPPO DONATI
Alluvione: un anno dopo

Alluvione, lo spettro del trasloco forzoso. Gli imprenditori dell’Appennino: "Trasferirsi significa chiudere"

La Regione offre un indennizzo a chi è a meno di 20 metri da una frana purché delocalizzi. Il titolare di un agriturismo che produce vino: "Dove dovrei andare? Per me non c’è un piano B"

Luca Monduzzi contempla sconsolato la frana che si apre sotto il suo agriturismo. In alto, l’allevamento di Giovanni Bertozzi sull’orlo del baratro

Luca Monduzzi contempla sconsolato la frana che si apre sotto il suo agriturismo. In alto, l’allevamento di Giovanni Bertozzi sull’orlo del baratro

Faenza (Ravenna), 28 aprile 2024 – Tremilaquattrocento: è il numero degli edifici sull’Appennino direttamente minacciati da una frana sorta nelle immediate vicinanze nel corso dell’ultimo anno. Da quando quel numero è stato pronunciato in Regione dalla vicepresidente dell’Emilia Romagna Irene Priolo, tre giorni fa, sulle colline e sulle montagne romagnole sono centinaia i cittadini intenti a misurare la distanza che separa la loro abitazione o la loro impresa dalla frana più vicina, sperando in un responso superiore ai fatidici venti metri.

Per qualcuno il conteggio si ferma tuttavia dopo appena due passi. Come fa ogni giorno da un anno, Luca Monduzzi anche oggi è passato davanti alla frana che si spalanca ad appena due metri dal suo agriturismo ‘Il Teatro’, arrampicato sulle colline di Modigliana, quello che dopo l’alluvione divenne noto come il ‘paese delle duecento frane’ (in realtà si rivelarono di più).

"Ho effettuato dei piccoli interventi di sagomatura, ma la messa in sicurezza è fuori dalla mia portata", spiega lui. Monduzzi dovrà attendere l’intervento della Regione, sperando che sistemare quelle frane sia più economico che delocalizzare lui, la sua famiglia, la cantina e l’agriturismo. "Ma per me non esiste un piano B. Dove trovo un altro agriturismo, come dovrei ricominciare a produrre vino? Se poi anche volessi andarmene, la vera domanda è: dove? A Modigliana, dove mezzo comune è minacciato dalla frane? A Faenza? Lì l’alluvione ha innescato una crisi abitativa senza precedenti. Le persone alla ricerca di un appartamento sono probabilmente migliaia".

I sindaci della montagna romagnola, benché in silenzio elettorale, da tre giorni hanno i nervi a fior di pelle: "Non ci è piaciuto vedere numeri di quella portata buttati nella mischia come parole in libertà – mormorano alcuni di loro a denti stretti –. E non ci piace il continuo paragone con i fenomeni sismici. L’Appennino romagnolo non è un’Irpinia da svuotare dei suoi abitanti".

I residenti non dormono sonni tranquilli anche alla luce di quanto accaduto al ‘paziente zero’ delle delocalizzazioni. La casa di famiglia di Gianantonio Gentilini, a Casola Valsenio, in piedi dal 1929 sulla principale direttrice della vallata, è stata evacuata degli inquilini e abbattuta la scorsa estate, per il rischio che la frana alle sue spalle la facesse crollare sulla strada provinciale. Finito il lavoro delle ruspe, Gentilini ha preferito chiudere quel capitolo e far rimuovere le macerie dell’edificio: "660 tonnellate di materiali, per l’esattezza. Il cui viaggio verso la discarica mi è costato 48mila euro, per i quali ho dovuto aprire un fido in banca, e che da allora non ho più rivisto. I miei tecnici hanno spiegato che per il saldo del valore dell’immobile e dello smaltimento occorre attendere un’ordinanza della struttura commissariale". Che ancora non arriva.

Quella singola delocalizzazione ebbe il sigillo del Comune; quelle che potrebbero prevedere Regione e commissari sarebbero di tutt’altro impatto: alcuni, come i residenti di via San Ruffillo, strada che a Casola risale l’Appennino per vari chilometri, hanno avuto una cornice del loro possibile futuro: "Tutto dipende dalla possibilità di ripristinare l’unica strada che esiste – spiega Giovanni Bertozzi, titolare di un allevamento di polli, in stand-by da un anno per l’impossibilità di rifornirlo di materiali –. I costi di ripristino potrebbero rivelarsi tali da costringere tutti a delocalizzare".

L’azienda di Bertozzi, fra stagionali e fissi, contava una dozzina di dipendenti: abbastanza per farne una delle maggiori realtà della vallata. "La zona rossa potrebbe essere immensa: dalla provinciale di fondovalle fino al crinale che separa le vallate del Senio e del Santerno". Anche qui, la domanda è sempre la stessa: dove delocalizzare? "Un’azienda come la mia non può essere spostata in una zona industriale: per funzionare ha bisogno dei prodotti dei campi. E non conosco altre aree in cui realizzare ex-novo tre capannoni da 5mila metri quadrati, senza contare che le autorizzazioni necessarie restringono ulteriormente il campo. Quella cui assisteremmo sarebbe una fuga dall’Appennino".