Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin: è stata riconosciuta l'aggravante della premeditazione. A nulla sono serviti i tentativi della difesa di negarle, quelle parole che hanno fatto infuriare papà Gino, che ha parlato di una vera e propria "umiliazione della memoria" di sua figlia.
Ma, a differenza di quanto il senso comune suggerisca, ergastolo non vuol dire necessariamente carcere a vita, e qualora vi fosse condannato, Turetta potrebbe non passare tutti i suoi anni dietro alle sbarre. Anche in ragione della sua giovane età, potrebbe infatti essere libero già tra 26 anni, quando sarà quasi 50enne.
A far chiarezza come funzioni l'istituto dell'ergastolo in Italia ci pensa Tommaso Guerini, avvocato, professore associato di diritto penale dell'Università Digitale Pegaso, nonché responsabile dell'Osservatorio dell'Unione delle Camere Penali Italiane. "L’ergastolo è la pena più grave tra quelle previste dall’ordinamento penale italiano, dopo che tra il 1944 e il 1948 è stata progressivamente abolita la pena di morte, che è invece rimasta formalmente in vigore fino al 1994 nel solo Codice penale militare di guerra - spiega - Secondo quanto previsto dall’articolo 22 del codice penale, la pena dell’ergastolo è perpetua. Tuttavia, è possibile per il condannato all’ergastolo la possibilità, a determinate condizioni, di essere ammesso alla libertà condizionale, alla semilibertà o comunque di beneficiare di permessi premio".
"Si può quindi affermare che l’ergastolo non è più una pena automaticamente perpetua - continua Guerini - Infatti, attraverso la possibilità di accedere a questi benefici, anche l’applicazione di questa pena è ispirata, almeno in parte, all’idea della cosiddetta esecuzione progressiva, secondo la quale la partecipazione del condannato al percorso di rieducazione può portare all’applicazione nei suoi confronti di un regime di esecuzione della pena gradualmente sempre più aperto".