“Marco da piccolo era un bambino buonissimo, non so spiegare il motivo, ma mi viene sempre da ridere pensando a lui, perché sino a quando aveva tre anni dove lo mettevi lui restava, poi è diventato più vivace e ha fatto tante marachelle".
Così Tonina Belletti, per tutti mamma Tonina, con gli occhi gonfi di emozione ricorda il figlio campione, portando il calendario addirittura prima ancora che il campione nascesse: "Sono rimasta incinta di Marco nel 1969, noi già avevamo una figlia piccolissima, Manola, nata nel ’68. Abitavamo in affitto in via Caboto nella zona Ponente di Cesenatico. Marchino è nato il 13 gennaio 1970 ed eravamo felici, perché avevamo tutta una vita davanti a noi. Poi ci siamo trasferiti per un breve periodo in un appartamento sul porto canale, sempre in affitto, e poi siamo andati nel nuovo condominio in viale Dei Mille".
Tonina sfoglia l’album dei ricordi e racconta di un campione che inizialmente era lontano dal ciclismo: "Quando iniziò ad essere più grandicello, un ragazzino, Marco a volte era tremendo, ma sempre dolcissimo e simpatico. Gli piaceva andare a pescare nei laghetti dove adesso c’è il Parco di Levante; era capace di rimanerci delle giornate intere. Di marachelle ne ha fatte parecchie. L’appartamento dove vivevamo era vicino al Bagno Marconi e quando l’acqua della piscina in inverno si sghiacciava, Marco e i suoi amichetti ci andavano sopra a scivolare e fare i ‘patacca’. Un giorno si è rotto il ghiaccio e lui è sprofondato nell’acqua gelida; fortunatamente non si è ferito gravemente ed è riuscito a tornare a casa, ma io stavo lavorando e i telefonini non esistevano, così quando sono rientrata l’ho visto tutto bagnato e infreddolito davanti al portone. Me lo ricordo come fosse accaduto oggi e mi continua a venir da ridere, anche perché Marco era un ragazzino che non si arrabbiava mai, era in salute, aveva un gran fisico e un livello molto alto di sopportazione".
Leggi anche:
In quegli anni l’attrazione per lo sport iniziava ad essere forte: "Marco giocava a calcio, tuttavia spesso rimaneva in panchina e poi molti bambini praticavano il ciclismo e il nostro vicino di casa era Roberto Amaducci, il quale allenava nel settore giovanile della Fausto Coppi. All’inizio Marco si aggregava in viale Dei Mille in sella alla mia bicicletta da donna, mentre gli altri avevano la bicicletta da corsa; ma lui quando tornava mi diceva ‘mamma, non mi hanno staccato’, e aveva già quel sorriso beffardo".
Amaducci convinse Pantani a fare ciclismo e la Fausto Coppi gli mise a disposizione la prima bicicletta da corsa, che Marco ha poi ha modificato in cantina. Crescendo il ragazzo aveva bisogno di una sua bicicletta da corsa e il nonno Sotero è stato ancora una volta una figura determinante: "Noi non eravamo ricchi – prosegue Tonina –, e Marco aveva messo gli occhi su una bicicletta che non potevamo permetterci. Sia io che mio marito Paolo glielo dicemmo in tutti i modi, ma lui era testardo e determinato, così suo nonno Sotero, al quale era legatissimo, intervenne con una somma di denaro consistente, che ci permise di fare l’acquisto".
L’ansia è uno degli stati d’animo che hanno contraddistinto questo speciale rapporto fra madre e figlio: "Sgridavo spesso Marco, perché quando faceva tardi e tornava di sera, vivevo sempre con l’ansia e anche da grande mi faceva venire l’ansia. Tornava a casa da scuola, buttava la cartella, si vestiva da ciclista, pranzavamo e poi lui prendeva la bicicletta e rientrava sempre tardi. Un giorno mi hanno chiamato dal pronto soccorso perché si era procurato una brutta botta al volto con un taglio profondo, un altro giorno io sono tornata a casa dal lavoro e i vicini mi hanno chiesto come stava Marco. Beh, per farla breve era stato investito in pieno da un’auto, si trovava in ospedale e io non sapevo nulla. Mi ha fatto venire dei colpi… mi faceva proprio arrabbiare, tornava a casa dopo ore di allenamenti che era viola, ma aveva una grande passione e una forza di volontà eccezionali, con il suo sorriso mi coinvolgeva sempre ed è stato così anche quando è diventato grande, perché parlava di tutto assieme a me e ai suoi amici, spesso era un burlone; soltanto quando correva non lo faceva, perché per lui era una cosa importante, seria e voleva essere concentrato".
Anche quando il campione era passato nei professionisti, gli incidenti purtroppo sono stati una costante: "Quello della Milano-Torino è stato tanto tremendo quanto incomprensibile, perché Marco si è letteralmente schiantato contro un suv che stava facendo una manovra in un tratto di strada dove non ci doveva essere nessuno. Evidentemente furono fatti degli errori sulla sicurezza, gli organizzatori avevano delle colpe e ricordo bene che stimarono a Marco un danno di 6 miliardi di vecchie lire, ma non vedemmo nulla…”
Sembra incredibile, ma pochi sanno che mamma Tonina non aveva una idea del ciclismo e dello sport che stava facendo il figlio. "Io del ciclismo non sapevo proprio nulla e non ho alcun problema ad ammetterlo. Mi sono interessata solo quando ho visto la gente arrivare con gli striscioni in piadineria e mi faceva i complimenti perché Marco aveva fatto una grande impresa in una corsa".
L’estate 1998 della storica doppietta Giro d’Italia e Tour de France, Tonina se la ricorda bene: "C’era il mondo a Cesenatico e tutti cercavano nostro figlio. Oltre alla marea di tifosi, c’erano politici, giornalisti e persone famose provenienti da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero. È stato qualcosa di grande e di irripetibile".
L’estate del ’99 è quella del complotto con cui Marco è stato escluso da un Giro d’Italia che aveva già vinto e la madre disse subito che c’era del marcio in quella vicenda: "Il mio Marco quel giorno l’hanno fregato, ma peggio ancora l’hanno voluto fare fuori, perché evidentemente era scomodo a qualcuno, così come nessuno mi toglie dalla testa che vent’anni fa, quando è morto, non era solo nel residence di Rimini. L’esclusione dal Giro del ’99 è stata per lui una mazzata e attorno come avvoltoi si sono viste delle brutte persone. Io non ho mai smesso di sgridarlo, così come me la prendevo con chi gli stava attorno soltanto per interesse, ma Marco mi diceva ‘Non te la devi prendere con loro, la colpa è mia, perché se io non la voglio, quella roba non la prendo’, e questo è triste, perché Marco era un uomo molto buono e rispettoso, che non meritava di finire così".