Roma, 5 dicembre 2024 – Avvocato Gianluigi Tucci, difensore di Giulia Pontrandolfo, ex funzionaria della prefettura di Pescara, tra gli imputati nel processo Rigopiano, poi assolta dall’accusa di depistaggio, la Cassazione il 3 dicembre ha mandato a processo 10 imputati. Ormai 8 anni dopo, se dovesse spiegare a un bambino perché e per colpa di chi sono morte 29 persone nel resort sul Gran Sasso cancellato da una valanga, che cosa direbbe?
“Spiegherei che a monte c’è stata un’errata programmazione del territorio. Che l’hotel è stato costruito in un’area valanghiva e purtroppo l’ampliamento della spa e della piscina sono stati realizzati nella parte sbagliata”.
Non contano le richieste di aiuto fin dal mattino nel giorno della strage, il 18 gennaio 2017? La provinciale non pulita, la notte del 17 gennaio?
“Ma il peccato originale è a monte. Ad ogni azione umana corrisponde una reazione della natura. È una legge inesorabile”.
Intanto a marzo l’omicidio colposo va in prescrizione. Perché da una strage all’altra d’Italia questo reato è indimostrabile?
“Diciamola così: l’omicidio colposo è una figura molto molto ‘volatile’ nel nostro diritto. La parola omicidio con la parola colpa cozzano. Una pietra miliare l’ha messa ThyssenKrupp. Proprio perché non si riesce mai a condannare qualcuno per strage o omicidio colposo plurimo, a Torino i giudici puntarono ad accusare i dirigenti di omicidio volontario, usando la figura che si chiama dolo eventuale. Quindi: tu non hai predisposto tutto ciò che dovevi all’interno dell’azienda per evitare che qualcosa accadesse, vuol dire che hai accettato il rischio che l’evento si potesse verificare. Quindi ti do il dolo eventuale, e con le generiche ti prendi vent’anni per la morte degli operai. La cassazione con la famosissima sentenza a sezioni unite disse ai giudici di merito: non ci pensate nemmeno”.
Fin dall’inizio del processo Rigopiano c’è stato un rimpallo costante delle responsabilità tra enti. Tutti responsabili, nessun responsabile. Quello che al bar si chiama scaricabarile. C’è chi invoca una riforma nella catena di comando. Si potrà arrivare a una legge Rigopiano?
“Vero, questa è la storia d’Italia. E si può evitare con una normativa specifica sulle responsabilità. Come si può continuare a rinviare una riforma di questo tipo? Se si vorrà chiamare legge Rigopiano perlomeno questo processo sarà servito a qualcosa. Le persone che non ci sono più non se ne saranno andate invano. Questo deve essere lo spunto per il legislatore. Come ha fatto per altre norme, tra le ultime il depistaggio, reato recente che risale al 2016, al processo quater di Ustica. Il guaio del processo di Rigopiano è il livello amministrativo. La non conoscenza della macchina amministrativa ha creato molti problemi alla pubblica accusa. Che non è riuscita a individuare da subito le figure amministrative dentro la macchina”.
Ma si è trovata di fronte alla frammentazione delle competenze.
“Su questo dico: una modifica serve senz’altro. Tu quella cosa non l’hai fatta, io ti punisco. Punto”.
La carta valanghe era prevista da una legge regionale del 1992. Ma nelle arringhe dei difensori si è sentito dire doveva pensarci il potere politico o che non c’erano soldi.
“Ecco da dove nasce quello che popolarmente si dice ‘scaricabarile’. Noi tecnicamente lo chiamiamo ‘definizione delle responsabilità’. Questo è il problema non del processo di Rigopiano ma di tutti i processi. Allora tu devi fare una norma che preveda: chi è deputato a fare la carta valanghe? Tizio. L’hai fatta? No. Ti sei dimesso perché non la potevi fare? No. Allora ti punisco. Negli altri paesi funziona così”.