LORENZO GUADAGNUCCI
Cronaca

Il cammino dell’acqua: a piedi nei luoghi dell’alluvione, da Ravenna a Campi Bisenzio

L’associazione ecologista Repubblica Nomade in marcia per portare solidarietà alle terre devastate. La denuncia: "Basta all’eccesso di consumo del suolo, spazio ai progetti di transizione ecologica".

Il cammino nei luoghi dell'alluvione

Il cammino nei luoghi dell'alluvione

Faenza, 24 giugno 2024 – Camminare l’alluvione vuol dire, per esempio, attraversare la zona industriale di Faenza e fare un’indigestione di asfalto e brutture urbanistiche, in un ambiente a misura – forse – di camion, tir e furgoncini, certo non di persone umane e men che meno di viandanti. Vuole anche dire – altro esempio – capire davvero che cos’è l’agricoltura industriale, coi campi sfruttati in ogni centimetro, senza più siepi né boschetti; con peschi, albicocchi e susini che sembrano cristi in croce, schiacciati come sono in lunghe file, senza le chiome e le rotondità che natura vorrebbe. Camminare l’alluvione, dunque, è scoprirsi stranieri – umani fuori posto – nelle campagne romagnole, oggi libere dall’acqua e dal fango ma ancora prigioniere di un modello di sfruttamento del suolo che un anno fa moltiplicò fino al disastro gli effetti delle piogge torrenziali.

C’è un manipolo di camminatori, chiamato Repubblica Nomade, che si è messo in testa di attraversare la Romagna e la Toscana delle alluvioni con un proposito preciso: portare vicinanza e solidarietà alle popolazioni colpite, ma anche gridare con forza che niente avviene per caso, perché gli eventi estremi sono la nuova normalità e vanno interpretati come un messaggio d’allarme che arriva dal pianeta Terra, un grido di dolore che dev’essere ascoltato. È il ’Cammino dell’acqua’, partito da Ravenna domenica scorsa, in arrivo sabato prossimo a Campi Bisenzio. A quel punto i partecipanti, una trentina di persone venute da varie parti d’Italia, avranno visto da vicino i segni dell’acqua e del fango, pochi in verità in pianura, dove si è lavorato con velocità per ripristinare case e terreni, più evidenti in collina e montagna, dove le frane hanno ferito, a volte mutato il paesaggio. Camminando, si stanno facendo l’idea che è giunta l’ora di dire basta. Basta all’asfalto, al cemento, all’espansione urbana; basta allo sfruttamento intensivo dei terreni. Ne parlano coi cittadini che incontrano, coi rappresentanti di enti e associazioni, con sindaci e assessori, e gli scambi non sono mai banali.

Fra i camminatori c’è anche un professore di Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, Paolo Pileri, autore di un libro, ’L’intelligenza del suolo’ (Altreconomia 2022), che ha messo a fuoco i danni irreversibili che stiamo causando alla ’pelle’ del pianeta. Pileri gira da tempo l’Italia col suo libro e ora si è messo anche a camminare per ’strigliare’ gli amministratori. Quando li incontra sa essere impietoso: snocciola i dati che mostrano i consumi record di suolo in Emilia-Romagna, quarta regione d’Italia, secondo il Rapporto Ispra 2023, in questa allarmante classifica. "L’alluvione – dice il professore – dev’essere un’occasione per cambiare rotta e smettere di consumare suolo. La legge urbanistica dell’Emilia-Romagna si autodefinisce a consumo zero ma non è così, fa acqua da tutte le parti". Il passaggio da Terrestra, col suo modello di agricoltura rigenerativa, allarga i cuori, ma anche qui Pileri incalza: "Attenzione, una nicchia virtuosa non cambia le cose. Bisogna pressare i politici, sono loro che devono prendere le decisioni giuste". Nei faccia a faccia con sindaci e assessori le risposte però non arrivano; prevale l’imbarazzo.

Passata Brisighella, quando la strada comincia a salire verso l’Appennino e i calanchi argillosi disegnano ormai il paesaggio, appaiono anche i segni evidenti delle frane. Quando al posto della strada asfaltata, travolta e frantumata, compare una sorta di canyon che lascia appena una striscia di terra su cui passare in fila indiana, è il momento in cui la ferita della terra pare davvero irrimediabile e il senso d’impotenza potrebbe prevalere. Camminare però è un atto a suo modo rivoluzionario, è l’irruzione dell’imprevisto nel corso ordinario delle cose, e come ha scritto Antonio Moresco, romanziere e fondatore di Repubblica Nomade, oggi "bisogna andare verso un cambiamento verticale e una metamorfosi, bisogna superare la contrapposizione della nostra specie rispetto al resto della natura, di cui non siamo i padroni". È insomma il tempo di osare pensieri nuovi e azioni conseguenti.

Il Cammino dell’acqua si chiuderà a Campi Bisenzio. L’alluvione lì ha colpito duramente fra ottobre e novembre dell’anno scorso, ma lì ha sede anche un’esperienza di potenziale "cambiamento verticale e metamorfosi", sia pure in ambito industriale. Attorno agli operai della ex Gkn, licenziati in blocco tre anni fa, sta nascendo una cooperativa che produrrà (senza consumo di suolo) pannelli solari e cargo bike, anziché i vecchi semiassi per automobili. È un progetto nato grazie al decisivo sostegno di esperti e tecnici solidali e a una costante mobilitazione popolare. Per partire, servirebbe anche un intervento pubblico, sollecitato dagli operai ricorrendo perfino a uno sciopero della fame; le istituzioni, al momento, sembrano incapaci di aprirsi al cambiamento.

Ma qualcosa può ancora avvenire. "Quando arriveremo alla ex Gkn – dice la presidente di Repubblica Nomade, Maria Rosaria Marrese – comunicheremo al Collettivo di fabbrica la nostra decisione di sottoscrivere azioni della cooperativa operaia". I camminatori hanno raggiunto ieri sera, sotto l’acqua, Crespino del Lamone, poi passeranno anche per Barbiana e San Donato di Calenzano, dove incontreranno gli allievi di quel prete, don Milani, che più di mezzo secolo fa definitiva la politica come il "sortirne insieme". Il cammino continua.