
Castel del Rio (Bologna), 30 marzo 2025 – Domani alle 12.30, un gruppo di associazioni ambientaliste terrà un incontro dove sarà illustrato l’esposto alle procure di Bologna e Firenze relativo alla questione ambientale aperta dalla discarica franata nel torrente Rovigo, nel comune di Palazzuolo sul Senio, che ha deturpato e inquinato il corso d’acqua del fiume Santerno con rifiuti di ogni genere. L’appuntamento è alle 12.30 in località Cà di Sotto, a Palazzuolo. Intanto, uno speleologo romagnolo ha scoperto quella che, con ogni probabilità, è una seconda discarica, a circa un chilometro da quella franata. Della presenza di più discariche aveva parlato già nel 1971 il deputato ed ex-sindaco di Imola Veraldo Vespignani e lo speleologo, Andrea Benassi, prende a riferimento quelle indicazioni: “Due sono in atto lungo la strada 477 tra la località Spiagge ed il passo della Sambuca sul Monte Carzolano”. Benassi è andato a ricercare le foto aeree degli anni ‘60 e ‘70 dell’istituto cartografico regionale. “E le foto – dice - non solo mostrano i cambiamenti avvenuti dopo la creazione della prima discarica, ma proprio nella zona che ci interessa, anche due frane avvenute tra il 1963 ed il 1975. Cosa avrà creato quelle frane? Una stagione troppo piovosa, o monnezza ci cova?”. E’ andato a ispezionare. Ai bordi del terreno franato, in questo luogo, ha trovato sacchi neri e rifiuti. Da qui l’ipotesi che “nel 1971 qui furono sversate tonnellate di rifiuti”. Uno scenario che i Carabinieri forestali stanno accertando. Infine, sul caso, Erica Mazzetti, deputata di Forza Italia, ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Ambiente.

Le colpe dei padri non ricadranno sui figli, ma i loro rifiuti sì. Il vergognoso disastro ambientale del Rio Rovigo, in quella terra verdissima a cavallo tra la Romagna e la Toscana - terra di pietra serena, briganti e castagni, terra ibridata da confini geografici ma preservata in un continuum culturale, tanto che nella piccola Casetta di Tiara ancora si parla un dialetto bizantino - è la rappresentazione plastica del fallimento di una politica nemmeno troppo arcana fatta di assenza di programmazione, visione, conoscenza del territorio.
Chiunque conosca quei versanti sa che da sempre, qui, l’uomo ha combattuto con l’acqua e le frane, con il rischio idrogeologico e con una natura terribile, capace di sorprendere con cascate instagrammabili, ma anche atterrire con la gola che viene denominata, non per caso, Val d’Inferno.
Piazzare qui una discarica, dunque, fu il peccato originale. Ma se in politica sbagliare si può, non si deve invece dimenticare né coprire gli errori col tappeto (o, come in questo caso, con una generosa manaccia di terra). Cosa hanno fatto i nostri padri per il rio Rovigo e dunque per il fiume Santerno e di conseguenza per il Reno e per il mare negli anni Ottanta, Novanta e Duemila? Nulla.
Di quella discarica tutti (e nessuno) sapevano. Nella vicina Imola si costruiva il quartiere della Pedagna, si dava il la ai fumi delle ciminiere industriali, si creava il Circondario e spuntava una comunità montana, si ideava oltreconfine l’alta velocità, ma non si pensava abbastanza alle ferite di un territorio che poi sarebbe disceso a valle nella vena del gesso patrimonio Unesco.
Dunque, la storia e la natura non sono state ascoltate. Ora ascoltiamo almeno chi quei territori li vive e ha già fatto esposti dopo le alluvioni che hanno messo in ginocchio la mobilità e il sistema delle emergenze. Arriverà una nuova denuncia e non potrà essere ignorata. La Regione Emilia-Romagna non deve restare impantanata in un rimpiattino di competenze coi colleghi toscani. Vanno coinvolte le centinaia di volontari pronti a pulire e ora bloccati.
Bisogna gestire il Santerno con ancora più attenzione, soprattutto a monte. Poi controlli, programmazione, analisi serrate per tutti i prossimi mesi nelle acque dove nuotiamo. Non bisogna minimizzare, come hanno fatto finora alcuni sindaci. E bisogna dare alla procura gli strumenti per capire non solo chi ha sbagliato, ma chi non ha evitato questa vergogna.