Bologna, 4 febbraio 2021 – Come si va dalla zona rossa a quella arancione e da qui all’agognata fascia gialla, per non parlare della fantomatica meta bianca? E quando scatta il percorso a ritroso? La determinazione dei colori delle regioni è un tema sul quale si fa molta confusione, complici anche le dichiarazioni di alcuni presidenti di Regione che per motivi più o meno nobili fingono di non conoscere l’ormai famigerato algoritmo costruito dagli esperti consultati dal Governo per affrontare l’emergenza Covid.
Potremmo paragonarlo a quei robot per cucinare che in base agli ingredienti inseriti ‘sforna’ una pietanza oppure un’altra, laddove gli ingredienti sono i dati scelti come indici per misurare la gravità dell’epidemia; e la pietanza, a seconda dei casi, è la zona rossa, la zona arancione, la zona gialla o l’inedita zona bianca.
Quando vengono decisi i colori delle regioni
Ogni venerdì la Cabina di Regìa, costituita da rappresentanti del Ministero della Salute, dell’Istituto superiore di Sanità e della Conferenza delle Regioni, accende il robot usando le materie prime raccolte durante la settimana. Poi ci pensa il ministro con un'ordinanza a definire i tempi per i cambiamenti di colore servendo a ciascuno il suo piatto. A qualcuno più dolce, a qualcuno più amaro.
I fattori da considerare
L’incidenza
Il sapore, per proseguire con la similitudine, è il prodotto di tre fattori. Il primo, introdotto a gennaio, è l’incidenza, che individua la soglia dei 50 casi settimanali di Covid ogni 100mila abitanti. Quando viene superata, i servizi sanitari cominciano a scricchiolare: questa è la ragione per cui la si considera.
Il rischio
Il secondo è il rischio, determinato dalla probabilità che il Coronavirus si propaghi in una regione e dall’impatto che tale eventualità potrebbe avere sulla sanità di quel territorio. Per valutarlo ci si serve dei 21 indicatori studiati ad aprile scorso e riassumibili in tre macro-parametri: la qualità del monitoraggio di ogni regione, che si vaglia a partire dal numero dei casi sintomatici notificati ogni mese; la capacità di verificare i casi sospetti, di mobilitare le risorse per il tracciamento dei contatti e di gestire isolamento e quarantena; la trasmissione del virus e la tenuta del sistema sanitario.
Quest’ultimo aspetto, particolarmente importante, si misura considerando innanzitutto l’indice Rt, il valore che rivela quante persone possono essere contagiate da ogni positivo in un determinato lasso di tempo. Conta molto, inoltre, l’occupazione dei posti letto sia nei reparti rilevanti come malattie infettive, medicina generale e pneumologia, sia in terapia intensiva. Per i primi la soglia critica è del 40%, per i secondi del 30%, anche in virtù del fatto che generalmente il 60-70% della capienza è già impegnata da pazienti ricoverati a causa di altre patologie.
Tornando alla similitudine culinaria, si potrebbe dire che l’analisi del rischio è una preparazione a parte, un po’ come la besciamella per la lasagna: si ottiene ‘mescolando’ la probabilità di diffusione del virus e l’impatto che si avrebbe in un certo contesto. A un estremo, abbiamo probabilità e impatto molto bassi, che ovviamente danno luogo a un rischio molto basso; all’altro, troviamo probabilità e impatto alti, che producono un rischio molto alto; in mezzo, a seconda delle combinazioni, si ottengono come risultato i rischi basso, moderato e alto.
Gli scenari
Il terzo fattore menzionato dalla ‘ricetta’ riguarda gli scenari dipendenti da Rt, segnalati dal documento ‘Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale’, approvato lo scorso ottobre dall’Istituto superiore di Sanità. Sono quattro: il primo scenario rappresenta “una situazione di trasmissione localizzata sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020”, con Rt sotto 1; il secondo prevede “una situazione di trasmissibilità sostenuta diffusa ma gestibile dal sistema sanitario” con Rt tra 1 e 1,25; il terzo prevede “una situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario” con Rt tra 1,25 e 1,5; il quarto, il peggiore, denota una “situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario” con Rt superiore a 1,5.
Zona bianca, gialla, arancione e rossa: come si decidono i colori
La Cabina di Regìa ogni venerdì tira le somme ragionando su incidenza settimanale dei contagi, rischio e scenari. Le combinazioni sono ventiquattro, l’incidenza fa da spartiacque. Sotto i 50 casi di Covid ogni 100mila abitanti, la zona bianca (molto vicina alla normalità, si applicano solo specifici protocolli) accoglie le regioni che vantano un rischio basso e uno scenario di tipo 1 (Rt inferiore a 1); con uno scenario di tipo 3 (Rt tra 1,25 e 1,5) e un rischio alto si finisce in zona arancione; la zona rossa scatta in caso di rischio alto e scenario di tipo 4 (Rt superiore a 1,5); in tutte le altre circostanze si va in zona gialla: scenario di tipo 1 con rischio moderato o alto, scenario di tipo 2 a prescindere dal rischio. scenario di tipo 3 e 4 con rischio basso o moderato.
Le restrizioni si aggravano con un’incidenza settimanale superiore a 50 casi ogni 100mila abitanti: la zona bianca non è contemplata; si resta in zona gialla con un livello di rischio basso o moderato ma associato a uno scenario di tipo 1 (Rt inferiore a 1). La zona arancione raggruppa i territori alle prese con un rischio moderato e uno scenario di tipo 2 (Rt tra 1 e 1,25) e quelli gravati da un rischio alto e scenari di tipo 1 e 2 (Rt fino a 1,25). Le restrizioni della zona rossa entrano in vigore in tutti gli altri casi, cioè rischio moderato e alto con scenari di tipo 3 e 4 (Rt superiore a 1,25).
Il passaggio in una fascia più restrittiva è automatico quando il monitoraggio evidenzia un peggioramento della situazione, mentre non sono altrettanto agili le promozioni. Una settimana di buona condotta non fa primavera, occorre dimostrare che la tendenza ha fondamenta solide. Così, per spostarsi dalla zona rossa a quella arancione o da quest’ultima all’area gialla, bisogna dimostrare di avere dati coerenti con il colore agognato per almeno 14 giorni e tre monitoraggi consecutivi. Il fattore tempo, dunque, è l’ingrediente decisivo.