CARLO CAVRIANI
Cronaca

Bisaglia quarant’anni dopo. Il seminario, gli elettori, il potere. E quella fine avvolta nel mistero

Politico di razza, allievo di Rumor, un rapporto strettissimo con la gente del suo collegio. Morì cadendo in mare da uno yacht: nessuno se ne accorse, non sapeva nuotare.

Bisaglia quarant’anni dopo. Il seminario, gli elettori, il potere. E quella fine avvolta nel mistero

Bisaglia quarant’anni dopo. Il seminario, gli elettori, il potere. E quella fine avvolta nel mistero

Santa Margherita Ligure, 24 giugno 1984, quarant’anni fa. Un uomo cade in mare dal panfilo Rosalù, senza un grido né un tonfo. Non sa nuotare, una morte incredibile e stupida. Antonio Bisaglia, ma tutti lo chiamavano Toni, era uno dei politici più potenti d’Italia. Difficile, impossibile dimenticare quella domenica d’estate davanti a Portofino.

Il clamore fu enorme. Bisaglia, più volte al governo, era capo di una fetta importante della Dc. L’autorevole rivista statunitense Time aveva scritto: "Bisaglia diventerà presidente del Consiglio". Era un uomo duro, freddo nell’amministrazione dell’unica cosa che pareva interessarlo: il potere. "Ma no, era buono e delicato. Attorno alla sua morte aleggiavano tanti sospetti. Nessun giallo. È stata una disgrazia", diceva la moglie, Romilda Bollati di Saint Pierre, erede e abile amministratrice di una delle più grandi fortune di Torino e d’Italia: il gruppo Turati Carpano (distillerie e altro).

Romilda e Toni erano sposati da due anni, si erano conosciuti in un salotto romano, lui era ministro dell’Industria. "Mi faceva sentire la donna più importante della terra, una regina, una madonna". Le nozze con rito soltanto religioso.

I beni rimasero separati. Lei continuò a vivere a Torino, per amministrare le sue aziende.

Lui fra Roma e Rovigo (dove era nato), la sua base elettorale, per occuparsi di politica. La moglie in Polesine ci andava poco. "La mia gente potrebbe pensare che non sono più uno di loro. Che mi sono allontanato, che appartengo ad altri", quasi si giustificava Bisaglia. Aveva un’agenzia di assicurazioni. Racconterà: "Guadagnavo bene, ma non ero ricco".

Diceva: "Gli elettori sono miei amici". Seguiva la loro vita privata, si interessava anche ai problemi più piccoli. E compilava delle schede, informazioni riservate. Ne hanno contate 14 mila. Antonio Bisaglia era figlio di un ferroviere. Ultimo di sette fratelli. "Ero molto coccolato dalle sorelle. Facevano le sarte e così aiutavano la famiglia a tirare avanti", raccontava. Un fratello, Mario, divenne prete e morì annegato anche lui nel 1992 nelle acque del lago di Domegge, in Cadore, in circostanze poco chiare.

Anche Toni Bisaglia frequentò il seminario, ma solo per due anni, in tempo di guerra. Si avvicinò presto alla politica iscrivendosi alla Dc. Il primo comizio a 17 anni a Porto Levante, poi l’università a Padova, voleva fare l’avvocato.

Giampaolo Pansa in un libro che racconta la sua burrascosa vita lo descrive come un vitellone impenitente. "Tra politica, ragazze, gioco delle carte. all’università ero uno studente che non faceva esami", dirà Toni. Ma questo non bastava per l’opinione pubblica. Il ragazzone faceva sempre discutere, era invidiato e temuto. I “nemici” si scatenavano con lettere anonime, una piccola macchina (sono sempre esistite) del fango.

Con accuse assurde e anche un po’ ridicole: è omosessuale, ma va a donne. Era il 1963, si era appena laureato e doveva essere candidato alla Camera per la prima volta. Portò le lettere al vescovo di Padova, monsignor Bordignon. Bisaglia racconterà: "Il vescovo mi disse una frase che ricorderò sempre: caro Toni, male non fare, paura non avere...".

Ma, oltre dal fascino femminile, era catturato da un’altra passione, forse più grande: la politica. Sbarcato a Roma entrò nel giro del grande, vero potere, sotto l’ala del vicentino Mariano Rumor, segretario Dc, più volte ministro e presidente del consiglio.

"Rumor per me ha significato molto: se uno è cretino, anche se ha l’occasione opportuna, non riesce. Ma puoi essere bravissimo e non avere questa occasione. Io l’ho avuta con Rumor, come Forlani l’ha avuta con Fanfani". Entrò anche nel giro dei salotti romani, ma non li amava. Racconterà: "Non esiste più il salotto nel senso cavouriano, quelli dove si facevano i governi. Esistono delle case, punti d’incontro. Esistono a Roma come a Rovigo. Le regole sono le stesse, con la sola differenza che a Rovigo si sa chi si incontra, a Roma no".

Deputato votatissimo per quattro legislature, sottosegretario alla presidenza del Consiglio a 39 anni, vice segretario della Democrazia cristiana a 43, titolare di ministeri sempre più importanti — Agricoltura, Partecipazioni Statali, Industria — capo indiscusso dei dorotei, la corrente più forte del partito. Si era anche fatto promotore di alcune istanze autonomiste della propria terra, il Veneto.

Dicevano di lui che era uno che aveva le idee chiare e che agiva con spregiudicatezza, scatenando polemiche e accuse.

Ma era anche portato a confidarsi molto con i giovani. "Il più grande investimento per un politico è non dire bugie, perché prima o poi ti si ritorcono contro. Se devi dire una bugia, sii omissivo, non dire niente". Ricorda bene questo insegnamento un allievo di Bisaglia, Pierferdinando Casini, che ha annunciato per domani la sua presenza a Rovigo, alle 18, per una cerimonia religiosa nel tempio della Rotonda in ricordo del suo maestro. Quando gli capitava di parlare di sé e del suo enorme successo, Bisaglia si definiva un politico che "capisce la gente".

Diceva: "Bisogna usare il bastone e la carota solo nei momenti essenziali". Poi assicurava che cambiava di rado, oltreché "a fatica", le sue opinioni. Non è poco in un mondo dove la simulazione è d’obbligo, il traccheggiamento un dovere, l’incostanza un merito.