STEFANO MARCHETTI
Cronaca

Bella ciao, la vera storia della canzone: "E' nata a Macerata"

Lo storico Giacomini ha trovato le prove : "La cantavano i partigiani sul monte San Vicino. Poi fu adottata dalla Brigata Maiella che la portò al Nord"

L’entrata della Brigata Maiella a Bologna il 21 aprile 1945

Macerata, 17 aprile 2021 - "Una mattina mi son svegliato...". Un verso, cinque parole. e l’hai già riconosciuta: "Bella ciao" non è soltanto una canzone, ma un’icona, un inno alla libertà, all’indipendenza. Alla Resistenza. L’hanno cantata Yves Montand, Giorgio Gaber, Anna Identici e Claudio Villa, Milva l’ha interpretata con grinta raffinata, la ascoltiamo nelle manifestazioni di piazza.

Già, ma quando è nata "Bella ciao"? E dove? La notorietà di questo canto popolare è pari al suo ‘mistero’. Numerosi storici hanno dedicato tempo e passione alle ricerche. Di certo si coglie la discendenza da "Fior di tomba", antico canto popolare del Nord, ma non è chiara l’origine della versione partigiana: c’è chi ne ha trovato le radici tra l’Appennino modenese e reggiano, chi l’ha collegata a un canto delle mondariso (anche se la versione ‘della risaia’ è stata scritta nel 1961) e chi ne individua la sorgente in Lazio. Lo storico Cesare Bermani ne ha attribuito la nascita alla Brigata partigiana Maiella che dall’Abruzzo portò il canto più a Nord, per raggiungere l’Emilia.

"Sì, ma in realtà i partigiani della Brigata Maiella conobbero e raccolsero ‘Bella ciao’ nelle Marche, nell’area del Monte San Vicino, fra Cingoli, Apiro e San Vicino, nel Maceratese. ‘Bella ciao’ è nata qui", dice Ruggero Giacomini, storico della Resistenza marchigiana, che con l’editore Castelvecchi ha pubblicato il saggio "Bella ciao. La storia definitiva della canzone partigiana che dalle Marche ha conquistato il mondo".

Giacomini, ma ne è sicuro? "Certo, era qualche anno che in vari scritti trovavo riferimenti a una storia marchigiana di ‘Bella ciao’. Già nel 2012 avevo dedicato un saggio alla strage nazifascista del 4 maggio 1944 sul Monte Sant’Angelo ad Arcevia e mi ero imbattuto nella testimonianza del generale Ricciardi che ricordava quando da ragazzino, sfollato con la famiglia ad Arcevia, aveva sentito i partigiani entrare in città cantando ‘Bella ciao’. Ma questi ricordi non mi convincevano pienamente".

Perché? "Pensavo che potessero essere sovrapposizioni di memorie successive. Inizialmente ritenevo improbabile un’origine marchigiana di ‘Bella ciao’, anche se coglievo molti indizi. Finché nell’archivio dell’Istituto Storia Marche di Ancona ho trovato la prova chiave".

Quale? "Una lettera scritta il 24 aprile 1946 ad Amato Vittorio Tiraboschi, già comandante della Brigata Garibaldi Marche, da Lydia Stocks, una russa che dopo l’8 settembre 1943 era fuggita da un campo di internamento femminile in provincia di Macerata e aveva raggiunto i partigiani sul monte San Vicino poi, dopo la guerra, si era trasferita in Inghilterra. Ebbene, lei rammenta ‘tutti quei ragazzi che andavano a morire con il canto Bella ciao’: certamente Lydia, che stava in Inghilterra, non poteva essere influenzata. E questo va a confermare la testimonianza di don Otello Malcaccini, parroco di Poggio San Vicino, che nel luglio 1945 dedicò un opuscolo alla feroce rappresaglia tedesca dell’anno precedente: scriveva che in paese nel 1944 i bambini affiancavano i partigiani e cantavano ‘Se io morissi da Patriota, bella ciao, bella ciao’. Dunque già nella primavera del 1944 qui si cantava ‘Bella ciao’".

Che poi ‘passò’ alla Brigata Maiella... "Esattamente. In terra marchigiana i partigiani della Maiella entrarono il 24 giugno 1944 e nella loro avanzata liberarono vari paesi. Il 18 arrivarono a Poggio, dove sostarono accolti dalla popolazione. Qui adottarono e adattarono ‘Bella ciao’".

Ma perché questa storia non è venuta alla luce prima? "Perché si parla poco della Resistenza nelle Marche, quando invece è stata fortissima, dura e precoce. È sorprendente che in Italia si conosca poco di queste nostre storie di Resistenza: forse perché noi marchigiani siamo fatti così, ragioniamo per municipalismi, e custodiamo una modestia contadina che non sempre ci fa emergere".