PAOLO ROSATO
Cronaca

Alluvione, l’urbanista Cucinella: “All’estero nascono città-spugna. Qui si parla ancora di calamità”

L’architetto di fama mondiale: servono asfalti drenanti, parchi e giardini per assorbire l’acqua. “Parliamo di futuro, ma nessuno ha ancora studiato il comportamento del Ravone in caso di piena”

Bologna, 22 ottobre 2024 – “Ci sono progetti ovunque, anche in Cina dove sono stato recentemente, che parlano di ‘Sponge City’, città che come ‘spugne’ assorbono l’acqua invece di farla scorrere. In Italia manca prima di tutto progettualità, ma se ne può parlare”. Vive a Bologna – tra un viaggio transoceanico e l’altro – l’architetto e urbanista di fama mondiale Mario Cucinella, che l’alluvione della notte tra sabato e domenica ieri se l’è ‘ritrovata’ sotto i tacchi. “Sono appena tornato da Osaka, in Giappone, per trovarmi in via Flora allagata – spiega –. In Italia resta drammaticamente evidente il sottodimensionamento delle infrastrutture, soprattutto per la gestione delle reti idrauliche”.

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Che cosa la preoccupa di più?

“Ho l’impressione che ci sia timore a vedere il futuro”.

In Emilia-Romagna si sta parlando di eventi imprevedibili. Le nostre città vanno totalmente ripensate?

“Non bisogna più parlare di città del futuro. Ma di città per il futuro”.

Si spieghi.

“L’evento del weekend di eccezionale ha ben poco. Non sono cose che succedono ogni 100 ormai, sono problemi ordinari. La politica scarica continuamente le responsabilità all’altra parte, ma l’ennesimo evento in un anno e mezzo mette a nudo proprio l’impreparazione del sistema. Servono progettualità chiare su come far fronte ai cambiamenti climatici per i prossimi 10-15 anni e oltre, ma tutto questo fondamentale tema a livello politico non è praticamente partito, siamo ancora al palo. Ci sono figure che hanno incarichi e responsabilità chiare”.

A chi il suo addebito, al governo o alle Regioni, come l’Emilia-Romagna?

“Faccio un discorso generale, senza fare polemica. Però è chiaro che se succede quello che succede, a livello territoriale si sarebbe dovuti intervenire ben prima. Invece vedo ancora rimpalli di responsabilità mentre la gente muore”.

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Le persone dovrebbero lasciare i territori a rischio alluvionale? Quali le priorità?

“La priorità deve essere sicuramente quella della salvaguardia delle persone. E la colpa è di chi gli ha permesso di vivere lì. Esiste un piano dei rischi idrogeologici connessi alle costruzioni? Tutto dovrebbe essere coordinato. Ci riempiamo sempre la bocca con il il twin digitale, il gemello, ma chi lo usa davvero? Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, potrebbe essere utilizzato per vedere cosa potrebbe accadere in futuro, come si comporteranno i fiumi come il Ravone a Bologna, dove tra l’altro c’è il Cineca. Fare simulazioni, prevedere degli scenari. E invece manca tutto, manca una vera progettualità ovunque, anche connessa agli strumenti digitali”.

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Cosa si potrebbe fare per mettere in sicurezza le città?

“La politica deve darsi un mandato, serve una pacificazione, occorrono infrastrutture ambientali, come le casse di laminazione, indipendentemente da chi governa. All’estero si parla di ‘Città Spugna’ che assorbano l’acqua attraverso la porosità dei terreni, eliminando l’opposizione di cemento, pietra, superfici non permeabili. Parchi, giardini, terreni ad hoc, asfalti drenanti: da qualche parte si può pur partire, a Bologna si potrebbe tentare. Le condizioni climatiche non sono più quelle di 10, 20, 30 anni fa, bisogna riprogettare le città e i territori”.

Insomma, per lei è un tema soprattutto di civiltà?

“Bisogna utilizzare gli strumenti tecnologici esistenti per provare a capire il futuro e fare scelte anche impopolari. Certo che è un tema di civiltà e di macrovisione politica che continua a mancare. Quando succedono queste cose le conseguenze economiche sono gigantesche, il valore dei danni inestimabile. Per fare le riforme vere servono 30 anni, bisogna metterci le mani una volta per tutte: a Osaka il terremoto non uccide perché la case non vengono giù”.