La città dalla quale provengono, Agadez (Niger), è un florido centro culturale, in particolare per la diffusione del ‘desert blues’, suono che intreccia i ritmi ancestrali del Sahara con i fraseggi delle chitarre del Delta del Mississippi. Arrivano oggi a Bologna, al festival DiMondi, gli Etran de l’Air, gruppo Tuareg. Alle 21 in piazza Dalla, ingresso gratuito.
Perché Agadez è così importante per il desert blues?
"È una città che permesso alla cultura Tuareg di svilupparsi senza perdere la sua identità. Succede anche in altri centri del Sahara con una grande attenzione per il patrimonio tradizionale. Il desert blues non è definibile, quando eravamo molto giovani non avevamo accesso ai dischi americani ed era naturale esprimersi con una musica piena di gioia e di malinconia, chiamata nella nostra lingua Assouf, che potrebbe essere tradotto con il portoghese saudade. È lo spirito del blues".
Come si diventa musicisti da matrimonio nel Niger?
"È un fatto naturale, un lavoro di famiglia, i nostri fratelli maggiori suonavano per i matrimoni e sono loro ad aver fondato gli Etran de l’Air quando eravamo bambini. Noi, nel tempo, li abbiamo seguiti, studiando musica e suonando per gli sposi. Adesso ci esibiamo tra le quattro e le cinque volte a settimana. Qui ad Agadez le persone si sposano! Gli ospiti ci consegnano dei biglietti con i temi che vorrebbero che trattassimo, e noi accontentiamo tutti! Viene creata una lista di persone che possono ballare e solo loro potranno danzare. È un grande onore essere in quella lista!"
Una musica, la vostra, dall’importante funzione sociale.
"Nella nostra terra la musica fa parte della quotidianità. In ogni occasione ci sono sempre degli strumenti musicali. La musica ci fa sentire più vicini, ci fa sognare e crea coesione sociale. Per questo le nostre canzoni parlano di pace, amore a fraternità".
Parlate anche della tragedia di chi, dal deserto, cerca di raggiungere l’Europa.
"Questo tema è sempre più presente nella musica Tuareg. Vogliamo dire alle giovani generazioni che è un viaggio pericoloso. Non solo potete perdere la vita, ma anche l’identità".
Pierfrancesco Pacoda