Macerata, 27 luglio 2023 – "Sarà il giudice a decidere per Filippo Ferlazzo, non spetta a me farlo. Ma deve pagare per il crimine che ha commesso. Ancora mi chiedo perché quell’uomo abbia ucciso mio marito. Il mio cuore è ancora tanto triste, è passato un anno ma è difficile dimenticare".
Charity Oriachi (video) non riesce a parlare, quando ripensa a quello che è successo un anno fa, il 29 luglio, a suo marito Alika Ogorchukwu: l’uomo, che lavorava come venditore ambulante e chiedeva l’elemosina, lungo il corso Umberto I di Civitanova ha incrociato per caso Ferlazzo, salernitano 33enne, che l’ha aggredito e ucciso di botte. Una furia omicida incontrollata, scaturita a quanto sembra dal fatto che il nigeriano aveva chiesto una moneta alla ragazza del 33enne. Da allora, la vedova cerca di tirare avanti tra il dolore, la rabbia, e l’affetto per il figlio Emanuel, di 9 anni e mezzo.
Charity quel giorno era a casa a San Severino, dove vive tuttora.
"Quel pomeriggio – ricorda – mi chiamò una amica, Sonia, che lavora in un negozio di Civitanova. Diceva che Alika aveva avuto un incidente e che dovevo andare subito lì. A me sembrava assurdo, perché mio marito non aveva l’auto. E poi non potevo spostarmi, io non guido e non c’erano neppure i treni. Ma lei insisteva, diceva che dovevo prendere un taxi o farmi accompagnare. Poco dopo mi ha telefonato anche mia sorella, piangeva disperata e questo mi ha allarmata moltissimo, perché non lo fa mai. Non sapevo cosa pensare".
È stata lei a dire cosa era successo a suo figlio Emanuel?
"No. I suoi compagni di scuola hanno trovato il video dell’aggressione, che girava in internet. Gli hanno detto che era successo qualcosa al padre, e lui è venuto a chiederlo a me. Adesso va da uno psicologo, grazie all’avvocato Francesco Mantella".
Lei ha visto il video dell’aggressione?
"Bene, per la prima volta l’ho visto in tribunale, al processo. È stato difficile. Non ce l’ho fatta a restare seduta lì. Si vede che lui cerca mio marito, cammina e cammina per raggiungerlo, come nei film. Non ho mai capito perché, Ferlazzo deve avere qualcosa nel cuore e ancora non lo ha tirato fuori".
Che tipo era suo marito?
"Era sempre allegro, rideva, parlava con tutti, per lui andava sempre tutto bene. È per questo che tanti ancora oggi mi aiutano, ci regalano cibo e vestiti. Un suo amico passa ogni settimana a trovarci. Gli italiani in genere hanno buon cuore, abbiamo ricevuto tanto aiuto. Ma quando finirà, come faremo?".
Lei non lavora?
"Io avevo appena trovato lavoro quando Alika è stato ucciso, facevo le pulizie alla stazione. Ma dopo quello che è successo, non riuscivo ad andare e hanno preso altre persone. Da allora ho cercato di trovare qualcosa, anni fa ho fatto il corso per assistere gli anziani, potrei fare le pulizie, guadagnare qualcosa per pagare l’affitto".
Adesso come fate?
"Il Comune di Civitanova e altre persone ci avevano donato dei soldi, che il Comune di San Severino sta usando per l’affitto e le bollette. Ma qui siamo lontani dal paese, senza auto, isolati: per il lavoro e per la scuola di Emanuel sarebbe meglio vivere nel centro abitato. Solo che nessuno affitta una casa a chi non ha stipendio, e dopo il terremoto è anche più difficile".
Lei vive in Italia dai primi anni Duemila, dopo quello che è successo vuole ancora restare qui?
"Certo, noi qui siamo stati bene, gli italiani sono persone buone, e abbiamo seppellito qui mio marito perché vogliamo restare. Emanuel va a scuola qui, lui ci tiene, vuole giocare a calcio. Però mi serve un lavoro".
Con i familiari, l’avvocato Francesco Mantella e pastor Faith, un punto di riferimento della comunità nigeriana locale, Charity sta organizzando per sabato una piccola cerimonia a Civitanova per ricordare Alika, per dire una preghiera tutti insieme.