Civitanova Marche (Macerata), 28 dicembre 2016 - C’era la neve, tanta, quel 27 dicembre di venti anni fa a Civitanova. La città completamente imbiancata e la chiesa di San Carlo Borromeo immersa in un clima surreale, straboccante di gente che diceva addio a Marialetizia Berdini, tornata a casa dentro un feretro, vittima di un gioco assassino.
Trentuno anni, felice e in viaggio verso Torino dove doveva imbarcarsi in aereo per Parigi e trascorrere là il Capodanno. E’ stata uccisa sull’autostrada Piacenza-Torino. In territorio di Tortona, sopra un cavalcavia, quattro balordi inscenano un gioco tragico; il lancio dei sassi sulle auto in transito. Hanno tra i 18 e i 24 anni, sono della zona di Tortona e sono tre fratelli e un cugino: Franco, Paolo e Alessandro Furlan e Paolo Bertocco.
Diranno che per superare la noia decisero quel lancio di pietre dal ponte. Una di queste sfonderà il parabrezza della Mercedes guidata da Lorenzo Bossini, marito di Marialetizia. Per lei, sul sedile passeggero, non c’è scampo. Nel gennaio del 1997 i quattro sono stati individuati. Parte il processo che si conclude nel luglio del 2000 con condanne di 27 anni e sei mesi per ognuno della banda: nessuno sconterà interamente la pena assottigliata da rito abbreviato, indulto e buona condotta. Nel 2009 hanno tutti lasciato il carcere di Ivrea.
Mariarosa, una delle due sorelle di Marialetizia, quel dolore se lo porta nel cuore come se fosse ieri. «Ci sono giorni in cui il lavoro, la famiglia, gli impegni mi distolgono dal pensiero di lei e allora vado avanti. E poi ci sono giornate come questa, in cui non è Natale. Porto dentro il senso cristiano della festa e come me la mia famiglia, mia madre e i miei figli, ma non è più Natale per noi dal quel 1996».
Sono passati venti anni. Allora le chiesero se avrebbe mai perdonato e rispose no. Il tempo trascorso ha cambiato le cose?
«Non esiste che io possa perdonarli, la penso esattamente come allora. Non succederà mai. E poi c’è questa storia che hanno scontato solo nove anni di carcere. Hanno ammazzato una donna e sono tutti fuori. Questo è insopportabile e non sto parlando di vendetta, ma di bisogno di giustizia che nel caso di Marialetizia, come in quello di tante altre vittime, non è stata fatta».
Lei, sua sorella Mariagrazia e suo padre Vincenzo, avete vissuto tutte le drammatiche tappe processuali. Al fianco del vostro avvocato Ferruccio Gattafoni sempre in tribunale, a tutte le udienze, fino alla pronuncia della condanna. Ma, i quattro della banda della Cavallosa hanno scontato appena un terzo della pena. Si è mai informata di cosa stanno facendo e come vivono gli assassini di sua sorella?
«No e non voglio sapere nulla di loro. Ma, fa male vederli tornare tranquillamente alle loro vite mentre Letizia la vita non l’ha più. Certe volte penso che vorrei avere il potere per fare le leggi, ne basterebbero poche, ma che garantiscano una pena certa a chi commette reati efferati. Questo chiedo ai nostri governanti».
Torniamo a quel 27 dicembre del 1996.
«Ha cambiato per sempre le vite di tutti noi. Quando sto in famiglia, quando vado come ieri al cimitero, quando spolvero la sua foto, mi torna su tutto quel dolore, lacerante come allora, la nostalgia di lei che era e sarebbe stata una donna meravigliosa. E’ come se venti anni non fossero mai passati».
Oggi lei è impegnata nella struttura comunale ad assistere i terremotati dell’alto maceratese che sono stati sfollati a Civitanova. Un ventennale particolare.
«Assolutamente si e sono grata di poter vivere questa esperienza. C’è tanto bisogno di vicinanza e solidarietà tra chi ha perso tutto, ma in questa sofferenza stringiamo i denti e andiamo avanti. E’ la vita».