
Michela Rossi, i cavalli passione di una vita
di Luca Ravaglia
L’immagine sembra un quadro. Nella notte di corse all’Ippodromo del Savio, sul lungo rettilineo dei box delle scuderie illuminato da fari che disegnano coni di luce a intermittenza, si affaccia una ragazza che accompagna un cavallo. Si respira l’odore del fieno, si sentono le voci degli altoparlanti che chiamano alla corsa e ci si immerge nel brulicare delle attività di chi non ha un momento da perdere.
La vita delle scuderie è il ritratto di un mondo che ha fatto la storia dell’ippica, che gronda fascino e che si alimenta di passioni. Prima di tutto quelle dei suoi protagonisti, le donne e gli uomini che ogni giorno sussurrano ai cavalli, prendendosi cura di loro come se fossero di famiglia.
Se pensi alle scuderie del ‘Savio’ uno dei nomi in cima alla lista è quello di Michela Rossi, che in questo mondo ci è nata e cresciuta, innamorandosene fin da bambina. "La passione me l’ha trasmessa mio babbo – racconta – il cui ricordo è sempre con me. Sono nata a Fano, sono stata a Bologna e nel mondo dell’ippodromo di Cesena ho conosciuto Salvatore Valentino, l’uomo che è diventato mio marito e col quale ho fatto una famiglia, della quale fa parte anche nostro figlio Antonio, pure lui appassionatissimo di questo mondo". Non è un lavoro, è uno stile di vita, nel quale le ore trascorse insieme ai cavalli non si contano, soprattutto in estate, quando al ‘Savio’ ci sono le Notturne del Trotto. "Abitiamo a Meldola, la sveglia suona prima delle cinque di mattina, in tempo per metterci in macchina e arrivare qui prima che sia troppo caldo. Facciamo mangiare i cavalli, puliamo i box e li portiamo a ‘muoversi’. Perché stiamo parlando di atleti che se vengono lasciando fermi soffrono. Con loro c’è un rapporto speciale, per quello che mi riguarda soprattutto coi maschi castroni, che chiedono affetto e attenzioni. Seguono ogni mio movimento, sono intelligenti, ma anche abitudinari, sanno che a ogni gesto ne segue sempre un altro. Compresa l’offerta di uno zuccherino… che non rifiutano mai".
A metà pomeriggio si torna al lavoro, per prepararsi alla serata, che ha un iter tutto suo da seguire e che varia anche in base alle stagioni, perché per esempio in inverno, quando le temperature sono rigide e la pista rischia di ghiacciare, la sveglia suona più tardi e le attività vengono tutte posticipate, contando sull’innalzamento della temperatura nelle ore centrali della giornata. "I cavalli che corrono devono mangiare presto, poi sono da preparare e da ‘vestire’. Bisogna fare in modo che siano pronti al momento giusto, che ovviamente è tassativo. I dettagli fanno la differenza, sia nell’ottica di evitare rischi di infortuni, sia per permettere loro di dare il meglio. Prendiamo questa pista: la conoscono a memoria e noi con loro. Sappiamo se c’è un punto che li può mettere più in difficoltà e invece sfruttiamo le zone nelle quali si trovano più a loro agio. Quando si va in ‘trasferta’ in altri ippodromi è diverso, soprattutto per i cavalli più giovani, con meno esperienza. E poi in quei casi c’è il tema del trasferimento, che gli animali, in particolare quando il viaggio è lungo, non apprezzano mai molto. Amano stare all’aperto, a correre. Quello del ‘Savio’ è il loro mondo ideale. E lo apprezzano molto".
A proposito di giovani, è tempo di puledri: la scuderia Mas (Michela, Antonio, Salvatore) ne conta sei, che sono impegnati con le qualifiche. "C’è ancora più da fare, ma non è un problema, anche perché ogni cavallo è come un figlio, che accompagniamo per tanti anni. Non possiamo tenere tutti sempre con noi e dunque quando termina il periodo delle corse li cediamo, mettendo sempre in prima fila il loro benessere. Perché non ci sono storie che tengano, i cavalli sono animali speciali, coi quali si creano rapporti di fiducia reciproca che spesso non si riescono a creare nemmeno tra persone".
Il tempo passa e il tempo in scuderia non è mai abbastanza. Serve salutare e salire in sulky, perché la sgambata mattutina non può aspettare. "Passo da lì – abbozza un cenno – e vado in pista. Quando passo butto l’occhio nel punto in cui per anni ho incontrato lo sguardo di mio babbo, che sceglieva sempre lo stesso posto dove piazzarsi. Quello sguardo ora non c’è più. Ma resterà per sempre con me".