ELIDE GIORDANI
Economia

Cinquantenni in fuga dal posto fisso: “Chi lavora non si sente valorizzato”

Francesca Amadori analizza il fenomeno delle dimissioni volontarie: “I dipendenti vogliono un bilanciamento tra il tempo del lavoro e quello della vita privata”

Dimissioni volontarie, ne parla Francesca Amadori

Dimissioni volontarie, ne parla Francesca Amadori

Cesena, 22 agosto 2023 – Crolla un mito. Quello del posto fisso come obiettivo di benessere e sfida al futuro. E’ ciò che rivelano in controluce le dinamiche attuali del mondo del lavoro. E ci si domanda quali siano le ragioni, ad esempio, per cui nella sola provincia di Forlì-Cesena tra il 2018 e il 2022 (elaborazione dell’Osservatorio della Camera di Commercio della Romagna su dati Inps) le persone che hanno deciso di rescindere il loro contratto di lavoro sono cresciute del 34,7 per cento.

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Di queste il 50 per cento ha detto addio ad un’occupazione a tempo indeterminato. Non è un fenomeno locale. Sono 1.080.245, infatti, le dimissioni dal lavoro in Italia registrate dall’Inps nei primi sei mesi del 2022, con un aumento del 31,73 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma fermiamoci a casa nostra e cerchiamo di capire cosa si agita nell’interscambio tra domanda e offerta in una dimensione geografica dove, però, le opportunità d’impiego non sembrano scarse considerato che la disoccupazione a Forlì-Cesena si attesta intorno al 5 per cento.

Ci guida nella valutazione Francesca Amadori, per 18 anni manager della comunicazione nell’azienda di famiglia oggi consulente per imprese e associazioni.

Francesca Amadori, come si può leggere l’inquietudine dei lavoratori a tempo indeterminato, sempre meno propensi a mantenere saldo il proprio contratto?

"E’ un fenomeno rilevante, che emerge anche dai miei scambi con realtà sia del territorio che esterne che cercano di attrezzarsi per affrontarlo. La mia impressione è che ci sia da un problema di coerenza tra i valori espressi dalle aziende in merito alla valorizzazione delle risorse e le azioni messe in campo".

Per capirci meglio?

"Ciò che l’azienda comunica spesso non viene mantenuto e chi vi lavora non si sente valorizzato. Le aziende dovrebbero cercare di conoscere meglio le esigenze lavorative sia delle nuove che delle generazioni più mature. Non a caso il 22 per cento di lavoratori della nostra provincia che lascia il posto fisso ha più di 51 anni. C’è poi una fascia di persone che vuole essere in sintonia con sistemi di produzione in linea con le proprie convinzioni etiche ed ecologiche, che qualche volta non trovano riscontro nelle aziende in cui lavorano".

C’è anche chi resta ma lo fa di controvoglia.

"Sì, si rileva anche il cosiddetto quiet quitting, persone che restano ma non esprimono il loro potenziale impegnandosi quindi al minimo sindacale".

Un tempo venivano definiti ‘vagabondi’.

"E invece possono essere persone che non si sentono valorizzate. Bisogna prendere atto, inoltre, che oggi i dipendenti vogliono un bilanciamento tra il tempo del lavoro e quello della vita privata. Una tendenza iniziata con il Covid che ha portato al lavoro a distanza, oggi proseguito in alcune realtà, che viene richiesto per almeno un giorno la settimana per organizzare meglio il proprio tempo personale".

E’ produttivo per l’azienda concedere lo smart working?

"Sì, l’esperienza ci dice che quando un lavoratore viene responsabilizzato e gli viene riconosciuta una sua richiesta la produttività ne beneficia. Peraltro il turnover dei dipendenti è un problema per l’azienda. Costa in termini di formazione".

Che altro potrebbe invogliare i dipendenti a legarsi all’azienda per cui lavorano?

"Il welfare aziendale basato sulle reali necessità dei dipendenti, aiuto nella gestione dei figli, centri estivi di qualità a prezzi agevolati per quando i bambini sono a casa da scuola, coperture assicurative sanitarie, borse di studio per i ragazzi che frequentano l’università. Sono anche questi strumenti che accrescono i sentimento di appartenenza all’azienda".