Un ’Cantos’ per la Malatestiana L’omaggio di Pound a Cesena

Il poeta americano rimase affascinato dalla biblioteca e donò una prestigiosa copia della sua opera

Un ’Cantos’ per la Malatestiana  L’omaggio di Pound a Cesena

Un ’Cantos’ per la Malatestiana L’omaggio di Pound a Cesena

Ezra Pound: un secolo fa a Cesena per ricerche sui Malatesta per i suoi “Cantos”, grande opera poetica del 900, formidabile quanto ostico poema plurilinguistico. Pound restò incantato della nostra Biblioteca Malatestiana. Lo conferma un suo dono prezioso: una copia della raffinata e prestigiosa edizione dei primi XVI Cantos, stampata a Parigi nel 1925, tirata in soli 90 esemplari numerati e arricchita da artistici capilettera al modo degli antichi codici, ma in stile Art Deco. Manlio Dazzi, il direttore d’allora della biblioteca, annotò che Pound s’era guardato bene dal donarne copia a grandi biblioteche, quali il British di Londra o la Nazionale di Parigi ove pure il poeta aveva scartabellato. Quella chicca da bibliofili può essere ammirata su richiesta in sala consultazione in biblioteca dove è conservata giustamente in cassaforte. Dazzi, inoltre, aggiunge che Pound avrebbe desiderato che quella sua copia fosse custodita sui plutei dell’Aula del Nuti insieme agli antichi codici legati dalle catenelle. Una pretesa un po’ eccessiva. Del resto il poeta americano spavaldo e sognatore era un po’ “sburone”, per dirla alla romagnola e con rispetto parlando.

A proposito. Nella prima riga in inglese del Canto XXVIII campeggia, scritta pari pari, una fumante bestemmia romagnola. Intendiamoci: la blasfemia non c’entra. Pound è stato definito un gourmet delle sonorità e nel nostro caso quella imprecazione è chiave d’accensione del racconto d’una leggenda romagnola -riferitagli da Dazzi- che aveva colpito la fantasia del poeta. Ovvero, finita la creazione il Signore s’accorse che mancava qualcuno: pestò il piede nel fango e saltò fuori il Romagnolo; “a so iquà mè, boia de …”. Nei versi successivi, il Canto riporta fedelmente un manifesto che Pound aveva letto sui muri di Cesena nel 1925. Il pubblico ringraziamento a un medico chirurgo di una famiglia di S. Giorgio: il dottore aveva salvato una partoriente e il suo neonato praticando un difficile taglio cesareo. Pound, probabilmente, aveva pensato alla difficile gravidanza di sua moglie. In ogni si riteneva un trovatore: e un trovatore come i poeti provenzali che aveva amato da giovane studente, deve raccontare così come le ha sentite o lette, le storie grandi e piccole dei vari posti del mondo. Il lettore curioso potrà ritrovare succose citazioni storiche di Rimini, Cesena e dei borghi medievali delle rispettive vallate nel canto XI, quello dedicato alle furiose imprese di Sigismondo Malatesta, con citazione anche del fratello, “zoppo Novvy” (il nostro Novello, in inglese, che era malato a una gamba). Sono solo spicchi del grande e magmatico viaggio poetico durato tutta una vita, quasi una storia del mondo e di Pound stesso. Alla fine i canti saranno CXVI (116): una maratona, per il lettore. Pound, infine, è noto (e strumentalizzato politicamente) anche per altri motivi inerenti le sue simpatie per Mussolini nella prima parte della sua travagliata vita. Qui diremo solo a che a leggere la poesia con gli occhiali distorcenti delle ideologie si prendono cantonate, cioè abbagli. La poesia è un’altra dimensione: che riguarda la vita di ognuno di noi, sbagli compresi.

Gabriele Papi