Quanto è accelerato il polso della nostra economia davanti all’intenzione del neo presidente Usa di introdurre tariffe sulle importazioni tra il 10 e il 20 per cento? Trump ha annunciato, già in campagna elettorale, di voler rendere di nuovo ricchi gli Stati Uniti anche attraverso i dazi sulle merci in entrata. Che ripercussioni avrà tale politica sulle aziende di Forlì-Cesena? "Non abbiamo - precisa Carlo Battistini, presidente della Camera di Commercio di Forlì-Cesena e Rimini - volumi consistenti di esportazioni verso gli Stati Uniti. E comunque i nostri prodotti, tra cui gli agroalimentari come vino e kiwi e quelli della moda e delle calzature, hanno già una loro tassazione e non rappresentano una concorrenza per la produzione Usa. Molto scarsa è, ad esempio, l’esportazione dell’ortofrutta. Nella nostra provincia l’export americano è veramente una briciola. E’ chiaro che il vero obiettivo dei dazi saranno i conduttori e i componenti elettronici e meccanici cinesi e indiani". "Stiamo a vedere - dice ancora Battistini - , aspettandoci di tutto, considerata la personalità del neopresidente. Ma ora non vedo rischi macroscopici. Del resto alcune problematiche sono già esplose ancor prima della elezione di Trump e della minaccia di nuovi dazi. Cito la crisi delle calzature, dovuta alla chiusura del mercato russo e ucraino e ad un nuovo stile di vita dei cinesi che tende ad ostentare meno e dunque abbandona i prodotti di lusso. Anche il mercato europeo, peraltro, batte il passo".
"Sono preoccupato. Come potrei non esserlo?" è la valutazione d’acchito di Marco Campomaggi, imprenditore dell’azienda cesenate che ha immesso sul mercato brand orami noti nel mondo: quelli delle borse e degli accessori firmati Caterina Lucchi, Campomaggi, Gabs. "Il nostro mercato rivolto agli Usa è leggermente in crescita - aggiunge Campomaggi - ma ci preoccupa, comunque, l’andamento attuale del nostro settore. I dazi americani potrebbero incidere ulteriormente sui prezzi. Guardiamo quindi con apprensione a quello che è stato annunciato. Mi conforta, tuttavia, la convinzione che molto di quello che Trump ha anticipato in campagna elettorale, attraverso il suo stile quasi guerresco, non venga poi messo in pratica con la stessa aggressività. Ma mi spaventa anche la sua idea del mondo e il fatto che un miliardario come Elon Musk, che ha una visione completamente opposto alla mia, faccia parte del suo governo".
Tra Italia e Stati Uniti viaggia quasi settimanalmente Rocco De Lucia, titolare della Siropack, azienda che produce macchine automatiche per contenitori di alimenti. "Per chi come me ha frequentazioni assidue negli Usa la vittoria di Trump non è stata per nulla una sorpresa - anticipa De Lucia - e guardo con interesse a quello che si prepara. Temo che il sistema politico ed economico dell’Europa collassi. Il Green Deal e la sostenibilità in Europa, e anche in Italia, hanno preso una deriva ideologica che causa la chiusura di molte imprese, mentre gli Usa si allineano con la Cina e la Russia anche in merito alle emissioni. Come risolvere l’aggravio dei dazi? Saranno un problema, ma si può delocalizzare negli Usa ed approfittare di ricchi finanziamenti. Abbiamo ricevuto proposte dal governo del West Virginia. Siamo solleticati. Del resto in Europa agli imprenditori si mettono i bastoni tra le ruote con politiche green che rischiano di smantellare intere catene produttive. Non sono contro la sostenibilità ma deve conciliarsi con la produttività. La realtà è che per garantire un futuro per la mia azienda devo guardare lontano, agli Usa o al Canada". Quindi avremo a breve una produzione di Siropack negli Stati Uniti? "Per il momento c’è solo la tentazione, anche se faccio molti sacrifici. Dovrei depositare lì tutti i miei brevetti. Ma io amo l’Italia e farò di tutto per restare qui".