C’è stato un movimentato fuori programma ieri in tribunale a Forlì nel corso della tredicesima udienza del processo per la bancarotta dell’Associazione Calcio Cesena, fallita nell’estate 2018 a causa di ottanta milioni di euro di debiti. Nel programma stilato dal presidente del collegio giudicante Marco De Leva, con l’accordo delle parti in causa, erano previsti gli interrogatori di due dei principali imputati, Luigi Piangerelli, già responsabile del settore giovanile, e Rino Foschi allora direttore sportivo della prima squadra. Nei giorni scorsi, però, i difensori di entrambi gli imputati avevano modificato il programma: l’avvocato Silvia Castellari, che difende Piangerelli, aveva comunicato che il suo assistito non si sarebbe sottoposto a interrogatorio, ma avrebbe reso dichiarazioni spontanee, quindi senza rispondere a domande delle parti. Gli avvocati Mattia Grassani e Massimiliano Iovino avevano fatto sapere che anche Rino Foschi non intendeva farsi interrogare, ma si riservava di fare dichiarazioni spontanee in una delle prossime udienze, sperando di mettere a frutto le testimonianze fino a ora a lui favorevoli.
Piangerelli, 51 anni, ex calciatore che Edmeo Lugaresi aveva avviato alla carriera di dirigente, ha raccontato la sua versione dei fatti affermando di essere assolutamente estraneo alle plusvalenze realizzate da Cesena e Chievo con lo scambio di giovani calciatori a prezzi milionari (a loro insaputa) per coprire i buchi di bilancio e raggiungere i parametri necessari a continuare l’attività calcistica. "Io non facevo trattative di mercato – ha spiegato Piangerelli che dopo il fallimento del Cesena ha lavorato al Sassuolo e ora è al Bologna – ma trattavo con i ragazzi e le loro famiglie, spiegandogli che essere tesserati per una società di serie A come il Chievo era un’opportunità".
Conclusa la dichiarazione di Piangerelli, il presidente del collegio De Leva ha dato appuntamento al 28 gennaio per l’interrogatorio di testi e imputati, ma dal fondo dell’aula si è levato un vociare sempre più concitato: era Rino Foschi che discuteva con i suoi difensori Mattia Grassani e Massimiliano Iovino: "Voglio parlare anch’io, era già previsto, non ce la faccio più a venire in aula a ogni udienza e voglio fare le mie dichiarazioni" ha detto a voce sempre più alta, avviandosi verso il centro dell’emiciclo riservato ai giudici. Il presidente De Leva ha acconsentito a riaprire il verbale, ma ha dovuto attendere il pubblico ministero Federica Messina che se ne era già andata.
Una volta conquistato il banco delle deposizioni, Rino Foschi ha iniziato un lungo intervento professando la sua innocenza: "Io ero contro le plusvalenze, l’ho sempre detto al presidente Giorgio Lugaresi che invece le faceva insieme al direttore generale Gabriele Valentini. Abbiamo litigato e Lugaresi mi ha rotto un telefonino in testa, per cui mi sono dimesso. Io sono innocente, al Cesena calcio ho fatto solo del bene facendo guadagnare tanti soldi e salvandolo da un paio di fallimenti. Voglio essere assolto, per questo ho detto ‘no’ al pubblico ministero che mi chiedeva di patteggiare come invece hanno fatto altri evitando il carcere".
Poi Rino Foschi se l’è presa con tutti quelli che gli capitavano a tiro, coimputati e avvocati, ha dato il benservito all’avvocato Iovino dicendogli di stare a casa per la prossima udienza, e ha inveito anche contro il cronista del Carlino accusandolo di aver fatto piangere i suoi nipotini quando scrisse che il pubblico ministero aveva chiesto il suo arresto, richiesta respinta dal Gip.