
L’ex presidente regionale stasera alla Malatestiana per un convegno dell’associazione ‘Giovanni Bissoni’
Giordani
La sanità pubblica al centro del dibattito guardando in controluce ciò di cui essere consapevoli nel gran mare inquieto dei servizi per la salute. "Servizio Sanitario Nazionale bene comune" è il titolo del largo confronto che l’Associazione Giovanni Bissoni porta all’attenzione della città questa sera alle 20 (Aula Magna della Malatestiana).
Nel nome di un grande amministratore rimasto nel cuore di tutti, un focus sui temi caldi del Ssn chiamando sul palco testimoni quali Luciano Natali (esperto di sanità), il sindaco Enzo Lattuca, il direttore generale dell’Ausl Romagna Tiziano Carradori, oltreché Francesca Bravi (assistenza ospedaliera), Paola Ceccarelli (distretto sanitario), Magda Babini (non autosufficienza), poi sindacati, associazioni, cittadini ed enti di volontariato.
Ne anticipa le linee di fondo il presidente dell’Associazione proponente, ed ex presidente della Regione,Vasco Errani.
Presidente Errani il Ssn è davvero un bene comune?
"Il Servizio sanitario nazionale è di fronte ad una crisi di sistema. Lo ha detto anche la Corte dei Conti in una sua relazione: c’è un sottofinanziamento strutturale che mette l’Italia sotto alla media europea. In più c’è il blocco del personale. Ne deriva l’impossibilità di garantire l’universalismo della nostra sanità. Ma l’idea che il Servizio sanitario nazionale non sia più sostenibile è inaccettabile: è sostenibile nella misura in cui si fanno scelte coerenti".
Quali scelte sono necessarie?
"Per esempio con il finanziamento attraverso la fiscalità generale e il superamento di un sistema fiscale iniquo qual è quello attuale. Ovviamente il sistema va anche innovato al cospetto dei cambiamenti demografici, delle malattie croniche, le difficoltà della sanità territoriale".
Che ruolo hanno le singole Ausl in questa innovazione?
"La riorganizzazione dipende da una scelta strategica che va fatta prima di tutto sul piano nazionale. Siamo davanti al grande rischio dell’autonomia differenziata che spezzetterebbe il Paese. Servirebbero, al contrario, norme nazionali come il superamento del blocco del personale. Parliamo di un sistema nazionale, non di 21 sistemi diversi. E questo è un punto cardine del cambiamento necessario".
Come affrontare le problematiche di aggressione al personale sanitario da parte di utenti frustrati ed arrabbiati a causa delle liste d’attesa e, qualche volta, anche dalle "agende chiuse" per un eccesso di prenotazioni?
"Abbiamo bisogno di aumentare la dimensione del personale, di cui c’è oggettiva carenza, ma anche di applicare criteri di appropriatezza per evitare il consumismo delle prestazioni sanitarie. E da questo punto di vista è fondamentale il ruolo dei medici di medicina generale e delle case di comunità, che non vanno intese come poliambulatori ma luoghi dove la comunità ragiona della salute. Inseguire le liste d’attesa rischia di imboccare una strada inefficace, poiché più si è produttivi e più cresce la domanda, dando avvio ad un processo di privatizzazione della sanità".
Ecco, la privatizzazione. C’è una spinta, benché sotterranea, verso tale dimensione?
"C’è chi vorrebbe un sistema privato accanto a quello pubblico ma in tutti i Paesi dove vige tale parallelismo si spende di più e chi è più debole riceve qualità sempre più basse. E’ una scelta sbagliata. Bisogna rilanciare, correggendone i limiti, il sistema universalistico".