GABRIELE PAPI
Cronaca

Quando Cesena si riempì di fosse comuni

Nel febbraio 1337 la nostra città fu quasi distrutta dai mercenari del Papato: eccidi e saccheggi che dimezzarono la popolazione

di Gabriele Papi

Per leggere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre invece sfogliarne la storia, scartare le immagini incrostate e sbrigative. Una città può passare tra catastrofi e medioevi, conoscere stirpi diverse succedersi, vedere cambiare il suo volto, le sue case pietra su pietra: è accaduto anche alla nostra Cesena, proprio in questi giorni di febbraio, secoli fa. 3 febbraio 1337: il perfido cardinale Roberto Da Ginevra (diventerà persino Antipapa) per vendicarsi della ribellione dei Cesenati ordina ai suoi mercenari bretoni e inglesi il ‘sacco’, il saccheggio senza pietà di Cesena e dei suoi abitanti, un eccidio. Sarà una delle stragi più feroci dell’Europa medioevale, di cui ci restano numerose antiche cronache tuttavia conosciute appieno solo dagli storici e da una nicchia ristretta. Alcune migliaia di concittadini (comprese donne e bambini) trucidati, la città messa a ferro e fuoco, fossi e cisterne colmati di cadaveri. Ad esempio. una di quelle fosse comuni fu una cisterna sotterranea dell’antica chiesa di Zenone, presso la Porta Cervese (la Barriera), nella attuale via Uberti.

Riassunto a grandi linee degli antefatti. Era divampato il conflitto tra il Papato e varie città italiane, Firenze in testa, che per difendere e aumentare le rispettive autonomie si erano costituite in lega. Dopo la ribellione di Bologna, l’inquieto Papato voleva riprendersi le ‘sue’ Romagne. Cesena cercava di tenersi fuori dalla mischia, restando fedele alla Chiesa. Roberto da Ginevra la scelse come base operativa, insieme ai suoi mercenari bretoni, acquartierati fuori città. La pressione della soldataglia, tra soprusi e ruberie, si fece insostenibile. Alcuni macellai cesenati, stanchi d’essere derubati. misero mano ai coltelli. La rivolta dilagò, i predoni ebbero la peggio. Il Cardinale Roberto (sarà poi detto ‘il boia di Cesena’) finse una pacificazione e invece richiese l’intervento di John Hawkwood (Giovani Acuto) il miglior ‘mastino della guerra’ allora in circolazione con la sua temuta ‘Compagnia della Croce Bianca’, ben addestrata quanto feroce: anche il saccheggio dopo la vittoria rientrava nella ‘paga del soldato’. Gli inglesi che erano di stanza a Faenza, anch’essa saccheggiata, giunsero da Porta Cervese. Cominciò il massacro: tre giorni e tre notti d’inferno per i cesenati. E non finì lì: poiché in città non c’era più niente da rubare, i bretoni facevano scorrerie nelle campagne. E a parecchi di loro fu fatta pagare.

I cesenati che erano riusciti a scappare (i più si erano rifugiati a Rimini) si vendicarono insieme ai contadini, tendendo imboscate, spogliandoli di armi e di averi e gettando i loro cadaveri in pozzi e fosse a Gattolino e Bel Pavone (c’è ancora, da quelle parti, una via chiamata come l’antica località). Solo in agosto circa 3000 cesenati degli 8000 abitanti precedenti poterono rientrare in città. Poi, con l’avvento di Galeotto Malatesta la città fu ricostruita e ripopolata con vari incentivi: niente tasse per cinque anni a chi veniva ad abitare a Cesena , contributi a fondo perduto (oggi li chiameremmo così) per gli artigiani, la Fiera d’Agosto senza dazi per rilanciare i commerci. Rinasceva una Cesena diversa: un’altra storia.