GABRIELE PAPI
Cronaca

Pascoli e l’ode agli spippoli (prima di mangiarli)

Dalle lettere del poeta al nipote uno spaccato sugli usi culinari dell’epoca. Compresi gli uccellini migratori, oggi specie protetta

di Gabriele Papi

Rustiche golosità contadine: con un intenditore d’eccezione, il nostro grande poeta Giovanni Pascoli. Le spilucchiamo da un vecchio libricino, ripescato nella piccola ma gustosa libreria antiquaria ‘Epoca libri’ che ha trovato nuova sede sotto il portico di Corso Garibaldi, davanti alla Chiesa dei Servi: ‘Lettere a Pirozz’.

Pirozz era l’amato nipote che da San Mauro spediva sportine di delizie agresti al poeta lontano dal suo borgo natio. Ad esempio i ‘ragazùl’, radicchi di campo. Pascoli lo ringraziava di cuore nella lettera spedita da Bologna l’11 giugno 1908: ‘Erano buoni… Li abbiamo mangiati crudi, cotti, in insalata, ad uso cassoni (la piada ripiena)’. Quei radicchi li preparava Mariù, sorella del poeta nonché ‘azdora’ di casa: anche saltati in padella, con ciccioli di pancetta e aceto. Mariù doveva centellinare il vino: il poeta amava sin troppo il Sangiovese.

La cannella dei ricordi, tema conduttore della poesia pascoliana, riecheggia in queste calorose lettere familiari: i ‘cantìr’ (i poderi), le erbe odorose, il paesello, gli amici d’una infanzia alla Torre dolorosamente interrotta.

Colpo di scena e, forse, peccato di gola: Pascoli era goloso di ‘spippoli’ che riceveva e richiedeva più volte. ‘Spippolo’ è il nome dialettale della pispola, uccellino dei campi un tempo abbondante nelle larghe romagnole al tempo del passo, sempre in mossa e vociante con il suo richiamo insistente. Così familiare da entrare nei modi di dire. Anche oggi certe nonne dicono alle nipotine vivaci e ciarliere: sei proprio una spippola.

Nel nostro caso, il lettore moderno può avere un soprassalto: come va questa storia? Pascoli non è forse il poeta della natura, il cantore degli uccelli musici, il rapsodo del ‘nido di farlotti’ e del ‘fru fru tra le fratte?’.

Processi sommari sono fuori luogo: le vicende passate vanno misurate con il metro dei loro tempi. La caccia (con la doppietta, con le reti oppure con il vischio: gli ‘spippoli’ erano troppo piccoli per valere la cartuccia) fu situazione del quotidiano in Romagna, non come capriccio, ma come fornitrice di proteine nobili altrimenti scarse in molte tavole. Allora i migratori selvatici erano considerati frutti del cielo (oggi sono giustamente protetti, in gran parte).

Inoltre, attenuante prevalente sulle aggravanti, gli ‘spippoli’ cucinati a dovere erano definiti golosità irresistibili nei vecchi libri di cucina. Stessa goduria per le ‘anitrelle della primavera’ che il ghiotto Pascoli riceve da Pirozz nel marzo 1902: si tratta delle marzaiole, ‘canaròl’ in romagnolo. Erano cacciate dai ‘cucci’, capanni interrati davanti a specchi d’acqua, passionaccia dei romagnoli. Non a caso il soprannome del popolare violinista contemporaneo del Pascoli, Carlo Brighi era ’Zaclèn’ (Zaccolino): sia per la sua piccola statura sia per la passione per la caccia alle anatre.

Com’è stato, in tempi recenti, anche per il nostro musicista Raoul Casadei, purtroppo scomparso pochi giorni fa. Raoul, da romagnolo d’antico stampo nato nei posti davanti al mare, la passione per il ‘cuccio’ ce l’aveva nel sangue.