REDAZIONE CESENA

Pascoli e la lunga marcia dei cappelletti

Il grande poeta era goloso del tradizionale piatto natalizio e gli aveva dedicato alcuni versi (poco noti) in una lettera a Mariù

Primi di dicembre: comincia la lunga marcia dei cappelletti all’uso romagnolo, come da definizione canonica di Pellegrino Artusi. In onore dei cappelletti vi proponiamo stavolta un loro elogio scherzoso, e poco conosciuto, del nostro Giovanni Pascoli: una poesia in dialetto che non rientra nel “corpus” ufficiale delle sue poesie ma che proviene dalle sue tante lettere scritte all’amata sorella Maria: allora non c’era WhatsApp. Il brano è tratto dal volumone “Lungo la vita di Giovanni Pascoli”, di Maria Pascoli (volendo, è in biblioteca) in cui Mariù ripercorre vicende e lettere del poeta. Ecco dunque la poesia che “Zvanì” dedica a Gulì (a volte Gulà), il coccolato cane di famiglia: e ai cappelletti. “Gulà, e’ tu linguin l’è un po’ sfazzadin, e’ tu cudin l’è un po’ birichin (il tuo linguino è un po’ sfacciatino, il tuo codino è un po’ birichino) e’ tu corizìn l’è come quel di Mammaluchìn e Duchìn (il tuo cuoricino è come quello di Maria e Ida, le sorelle del poeta chiamate coi soprannomi casalinghi). Al tu urcini a l’iè dagli urcianazi longhi longhi (le tue orecchine sono orecchiacce lunghe lunghe). La cadnina a l’avrò in bascoza e a tla mitrò per turner a casina (il guinzaglio l’avrò in saccoccia e te lo metterò per tornare a casina) dov cui sarà i caplitòn caplitàz, brot biricon d’un urcianàzz (dove ci saranno i cappellettoni cappellettacci, brutto birichinaccio di un orecchionaccio). Rime a parte - Pascoli è un gourmet della rima baciata, anche in dialetto- l’immagine dei cappellettoni descrive bene l’esuberante formato panciuto dei cappelletti rispetto ai tortellini bolognesi, decisamente più piccoli, buoni ma diversi anche per il ripieno. Non a caso anche l’Artusi, contemporaneo del Pascoli, nella ricetta dei cappelletti (la n.7 del suo famoso trattato) pubblica il disegno della circonferenza, del disco di sfoglia necessaria al capelletto. E quindi quanti cappelletti avrà mangiato il Pascoli nei giorni di Natale? Probabilmente parecchi: sappiamo che il poeta era goloso. Tra le sue poesie ufficiali oltre al poemetto “ La Piada” c’è anche “ La canzone del girarrosto” e nelle sue lettere il risotto, in versi, alla romagnola), inoltre Pascoli amava il vino, sin troppo: del resto l’accoppiata tra poesia e vino è storia antica, sin dai tempi d’Omero. Quanto ai cappelletti va ricordato che ai tempi di Pascoli, diversamente dai giorni nostri, i romagnoli non ricchi - la maggioranza- li mangiava solo e rigorosamente in brodo di cappone il giorno di Natale. E già allora c’era l’epopea dei grandi mangiatori di cappelletti, capaci di sbafarsene anche cento in un pranzo solo: anche l’Artusi lo racconta nella sua saporosa introduzione alla ricetta, invitando a non eccedere. Ai grandi mangiatori l’immaginario popolare ha sempre guardato con divertita ammirazione. Non per l’ingordigia, ma per un altro aspetto rivelatore se letto in controluce storica. Quegli eroi dell’abbuffata erano come i vendicatori di un appetito quotidiano troppo spesso frustrato da pasti miseri, la voglia insoddisfatta di mangiare meglio e di più ogni giorno. I cento cappelletti di Natale: un vanto che riflette come uno specchio il mondo della miseria popolare della Romagna di ieri.

Gabriele Papi