LUCA RAVAGLIA
Cronaca

Paciugo e ’Romagna mia’ I ragazzi sempre in campo

Nelle ultime ore sono arrivati in città tanti tifosi partiti da Modena e Bologna. Il sostegno degli ultras della Reggiana: "Nemici romagnoli non mollate".

Paciugo e ’Romagna mia’  I ragazzi sempre in campo

Paciugo e ’Romagna mia’ I ragazzi sempre in campo

di Luca Ravaglia

La vita è fatta di diversi campi da gioco. Restando al concreto, il riferimento più immediato è al calcio, allo stadio e ai suoi frequentatori. A partire dal mondo del tifo organizzato, che quando si ritrova sui gradoni si alimenta di sfottò, di cori e magari anche di eccessiva enfasi. Ma quando la palla finisce su un altro tipo di terreno, molte cose cambiano. ‘Nemici romagnoli non mollate’ scrivevano l’altro giorno gli ultras della Reggiana, e questa è solo la punta dell’iceberg, perché in molti dalle parole sono anche passati ai fatti. In queste ore nella Cesena in ginocchio sono arrivati centinaia di soccorritori, molti dei quali giovani e giovanissimi, partiti con gli stivali e i badili da Modena e Bologna. Frequentano le rispettive curve? Almeno qualcuno certamente sì, ma ora, davanti a questo, anche il più storico e acceso dei derby pallonari comincia con una stretta di mano. E allora si arriva e si chiede da dove serve cominciare, si chiede dov’è Ronta e che strada c’è da fare per arrivarci. Si suda spalla contro spalla, perché se il tuo storico avversario è alle corde, prima lo aiuti ad alzarsi e poi metti la palla al centro e te la giochi ad armi pari. Altrimenti che gusto c’è? E’ questo il fair play che conta, altro che luoghi comuni. Ad ogni modo anche così siamo solo alla buccia. Perché questa è Cesena e a Cesena giochiamo in casa noi. Pure in mezzo al fango. Lo spirito domestico è tutto nello striscione in rigorosa salsa romagnola che accoglie chi si avvicina all’inferno tra i ponti Vecchio e Nuovo: ‘Non chiamateci angeli del fango, ma Chi Burdél de Paciùg’, quei ragazzi del paciugo. Ecco perché mentre si spala si cantano ‘Romagna Mia’ e altre note della tradizione nostrana, ci si trova brindare col sangiovese e a trangugiare piadina. All’Ippodromo venerdì, c’era un gruppo infangato fino al midollo, che non smetteva di sciorinare cori, che se funzionano allo stadio quando c’è da serrare le fila e alzare le picche sognando una promozione che quest’anno la nostra gente si meriterebbe più che mai, vanno benissimo anche in città, quando c’è da prendere per mano una comunità e tirare forte, fino a quando non esce dal pantano nel quale è finita invischiata. Dunque si torna allo striscione in dialetto, solo per accorgersi che nemmeno questo è il punto. Angeli? Burdél? E’ meglio ‘cesenati’, che così si è sicuri di prenderli tutti. E di aver fatto centro.