Cesenatico, 13 febbraio 2019 - Marco Pantani è lì, nel cimitero della sua Cesenatico, da quindici anni, da quando un sabato sera venne trovato senza vita in un residence di Rimini dove era morto da solo, portando con sé il rimpianto per una vita che poteva essere diversa e anche qualche dubbio di troppo. Ma Pantani è anche là, nelle piazze e nelle strade che gli vengono intitolate, nei monumenti eretti sulle montagne che alle sue imprese sportive devono la loro fama, negli striscioni del Giro d’Italia, forse più numerosi per il campione della Romagna che non per i protagonisti attuali del ciclismo.
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San Valentino dovrebbe essere il giorno degli innamorati, ma per chi ha amato Pantani è anche un giorno velato di tristezza: un giorno come tanti, perché il ciclista più amato e controverso degli ultimi trent’anni non viene ricordato soltanto nella ricorrenza della scomparsa, ma soprattutto per ciò che ha fatto in sella ad una bici. Ed è questo il Marco che piaceva alla gente e che la gente continua a ricordare (VIDEO), non certo quello raccontato nelle aule giudiziarie dai processi costruiti intorno alla sua tragica fine: quando ha chiuso la sua vita spericolata a 34 anni, avrebbe meritato pace e non tutto il clamore che l’ha accompagnato.
Quindici anni senza Marco: sembra una vita fa, ma è come se non fossero passati. Perché il ricordo è vivo, e non è un modo di dire: basta il nome di una montagna, la località di un arrivo, un amatore con una vecchia maglia della Mercatone Uno per sfogliare un album dei ricordi che non si è mai chiuso. Di esempi se ne potrebbero fare a migliaia, perché sono quotidiani: basti dire che chi guidava l’ambulanza sulla quale Nibali ha finito l’ultimo Tour dopo una caduta all’alpe d’Huez, guarda caso uno dei luoghi consacrati al Panta, al solo sentir citare il nome del campione romagnolo ha esibito ai cronisti italiani tatuaggi, cover del cellulare e orecchino dedicati al suo vecchio idolo. «Sono stato a Cesenatico a visitare il museo con le sue maglie e le sue bici, ho conosciuto papà Paolo e mamma Tonina che quotidianamente lo aprono ai visitatori», ha aggiunto: e sul volto aveva la fierezza di chi stava parlando non di un ciclista come gli altri, ma di un vero e proprio mito.
Non si esagera: negli anni Novanta, un Paese intero ha avuto in Pantani il suo Coppi. O un altro Tomba, uno dei campioni che a Marco è stato più vicino: tutti atleti capaci di fermare l’Italia quando entravano in gara, perché il romagnolo in bici, come il bolognese nello sci, quasi mai tradivano. Una messa domani alle 20,30, sul porto canale a Cesenatico dove quindici anni fa una marea di gente gli rese l’ultimo saluto, una strada a Casalgrande, nel Reggiano, sabato mattina. A seguire l’intitolazione di piazza Marconi che già ospita il monumento realizzato dalla judoka Pierantozzi: ecco le prossime tappe di una corsa che, in realtà, è molto più quotidiana. Vi partecipano tutti coloro che allo scalatore venuto dal mare continuano a voler bene: un popolo per il quale Pantani è morto il 14 febbraio, ma tutti gli altri giorni dell’anno è vivo.