GABRIELE PAPI
Cronaca

L’incredibile storia della piadina. Da piatto povero a... start up

Il cibo popolare romagnolo diventa famoso con il boom turistico della Riviera negli anni 50 e 60

‘Tavola Romagnola’, dipinto di Fortunato Teodorani del 1929

‘Tavola Romagnola’, dipinto di Fortunato Teodorani del 1929

Piadina con le polpette: l’annunciava nei giorni scorsi con tam tam pubblicitario un’azienda con nome piadinesco che opera nella ristorazione delle grandi città. Polpette? La nostra cara piada si sta mettendo sulla scia degli ‘spaghetti con le polpette’ che per noi italici sono eresia, ma all’estero hanno da anni gran successo. Segno comunque dell’affermarsi della piadina nell’immaginario collettivo e nel gusto, uscendo dai consueti confini.

Polpette a parte, se ritorniamo ancora sulla piada è per proporre ai lettori un documento ‘ufficiale’ (poco conosciuto) che riguarda la nostra terra e che porta nuova luce sulla antica storia di questo cibo popolare e povero. Ci riferiamo a una relazione cesenate in risposta al questionario proposto a livello nazionale dalla importante inchiesta parlamentare ‘Jacini’, a cavallo degli anni ottanta del 1800. La prima ‘fotografia’ delle reali condizioni dell’agricoltura e dunque anche sulla vita dei contadini, alimentazione compresa.

Ed ecco la citazione ‘piadinara’ in questione, redatta da Federico Masi, segretario del Comizio (Consesso) Agrario di Cesena, anno 1879. ‘L’alimentazione di base del colono che si trova in condizioni economiche regolari (non tutti lo erano) è il pane di tutto frumento, ben lievitato, ben cotto… Ma in molte circostanze e per intere settimane il succedaneo (sostitutivo) del pane è la Piadina, anch’essa di farina di frumento di tritello (cruschello) o di mistura: vale a dire farina frumento e di granturco amalgamata. Questa piadina è una specie di focaccia o di schiacciata grossa pochi millimetri, salata, qualche volta unta con poco di grasso (strutto) e cotta là per là sul testo ’.

Masi cita anche la ‘piadina dolce’, preparata dalla ‘azdora’ quando in casa c’è il padrone del podere oppure ospiti di riguardo. La piadina dunque come pane d’emergenza per i meno abbienti: ma anche curiosità alimentare per i cittadini benestanti.

Sarà così per tutta la prima metà del 900: un’altra bella testimonianza è data dalle ‘Tavole Romagnole’ del pittore cesenate Fortunato Teodorani, un secolo fa. L’intuito dell’artista ha colto nei quadretti di piada, che dipinge spesso, non solo un elemento figurativo caratteristico, ma un simbolo: come oggi è diventata la piadina.

Negli anni ’50-60 del boom turistico in riviera la piadina ancora non compare - al momento- nei menù alberghieri. La piada prende un’altra strada. Nascono e si diffondono piccoli chioschi artigianali: oggi li chiameremmo ‘start up’. Sempre più perfezionata e farcita con salumi o con erbette la piadina diventa buon cibo a sé, rustica golosità che piace molto ai forestieri. Crescente successo. Se ne accorge anche l’industria: poche cose come la piadina costano di meno quanto a materia prima per il prodotto base.

E allora, storia recente, ci si attiva per l’opportuno riconoscimento della Piadina Romagnola IGP (Identificazione Geografica Protetta), 2014. Al fine di tutelare per quanto possibile un prodotto peculiare da inevitabili scopiazzature. Che poi la piadina riminese sia meglio di quella cesenate, o viceversa, è e sarà gustoso e accanito derby: se no, che romagnoli siamo se non ci dividiamo in nome dell’amata Romagna?