
di Elide Giordani
Quando un imprenditore come Piero Righi passa la mano si può dire che si chiude un’epoca. Nel suo caso durata quasi 70 anni. E, considerato il particolare settore in cui ha profuso la propria attività, sullo sfondo della sua evoluzione personale e imprenditoriale si possono cogliere significativi mutamenti sociali. Da quasi 90 anni a Cesena Righi significa, infatti, macchine per cucire. Ed è stata una straordinaria avventura quella della mitica macchina a pedale, strumento indiscusso dell’evoluzione del vestire che ha conquistato le donne di mezzo mondo ed ha contribuito alla loro autonomia. Laccate di nero, racchiuse in un mobile dalla modanatura pretenziosa, dagli anni ‘50 in poi, hanno troneggiato nelle case degli italiani con poche distinzioni di censo. Piero Righi a 85 anni si ritira, lascia tutti ai figli e ai nipoti, e apre il baule dei ricordi.
Signor Righi da cosa è nata l’avventura di "Righi per cucire, Righi per la maglieria" secondo uno slogan che è rimasto nell’orecchio di tanti cesenati?
"E’ nata nel 1933 con mio padre Vincenzo, in un piccolo negozio in corso Sozzi dove oggi c’è la Upim. Mio padre era capo negozio delle macchine Singer che arrivavano dall’America. Poi la guerra bloccò l’importazione e lui aprì altrove, prima all’angolo tra Corso Sozzi e via Roverella, poi in via Verdoni, grazie alla concessione esclusiva della Necchi. Ma c’era la necessità di ingrandirsi e aprì di fianco al Duomo, e questa volta ottenendo in concessione la Borletti". Ma quand’è che lei iniziò a lavorare con suo padre?
"Ho cominciato a 15 anni, facevo il meccanico. Lui, infatti, sosteneva che per essere un buon venditore prima dovevo conoscere bene il prodotto che vendevo. Ed è così che sono stato a Milano, alla Borletti, per un anno".
Come vendevate le vostre macchine da cucire?
"Battevamo le campagne con un furgoncino. Erano gli anni ’50. Non è che i contadini potessero venire ad acquistare in negozio, andavamo noi da loro. Caricavamo almeno quattro macchine alla volta e tornavamo col mezzo vuoto. Erano macchine a pedale, molte belle, che facevano arredamento".
Quanto costavano?
"Non poco, circa 50 mila lire di allora. E’ sempre stato un prodotto caro. Noi le pagavamo 30 mila lire più l’Ige, che allora l’Iva non c’era. Per le famiglie era un investimento, mica c’erano i negozi di confezioni. Si andava anche dai sartini, in campagna, che ci davano indicazioni sui potenziali acquirenti. In cambio mio padre dava loro l’assistenza meccanica gratis. Ce n’era uno a San Vittore che era speciale. Ma ne avevamo a Sarsina, a Borello, a Mercato Saraceno".
Poi il titolare dell’azienda è diventato lei.
"Si, quando, purtroppo, nel ’62, mio padre morì. Avevo 27 anni e presi le redini del negozio con mio fratello Paolo. Da lì è iniziata la crescita della nostra attività con negozi a Forlì, Rimini, Ferrara, Ravenna e Bologna, anche se ormai avevamo diviso l’attività".
Che anni erano?
"Tra il ’70 e l’80, e le macchine ancora avevano un bel mercato. Quando una ragazza si sposava, col corredo doveva avere anche la macchina da cucire". Lei è stato anche un pioniere delle televendite sulle emittenti private.
"Ogni sera avevamo una diretta tv con due passaggi da 10 minuti, iniziavamo alle 21 e finivamo a mezzanotte. Ci ospitavano Toni e cuntadén e Ermanno Pasolini e ci vennero a trovare anche dei cantanti famosi. Fu il mezzo che ci diede la notorietà e fu una scelta azzeccata poiché aumentarono i clienti e i guadagni".
Poi è arrivata la crisi.
"Già, ma noi non restringemmo il numero dei nostri negozi che restano a Cesena e Rimini gestiti da mio figlio Vincenzo, mentre mia figlia Susanna con mio nipote Federico gestiscono Ravenna, Forlì e Bologna. Ancora agli inizi nel 2000 vendevamo tremila e 500 macchine da cucire, oggi arriviamo a non più di mille all’anno. Sono macchine più professionali e più costose". E’ cambiato il costume, pochi sarti e più confezioni.
"Sì, ma la nostra forza è ancora l’assistenza. Pochi vendono macchine per cucire e nessuno le ripara. La nostra forza è il meccanico Giorgio Piraccini, che si avvicina ormai agli 80".
Non le manca la sua attività? "Per il momento l’ho presa bene, non so se andando avanti mi prende la voglia di tornare, ma è bello vedere figli e nipoti che continuano il nostro lavoro".