di Elide Giordani
"Non mi faccia diventare più antipatico di quanto non lo sia già…". E’ consapevole di andare controcorrente il dottor Augusto Biasini, ma il timore di scontarsi con il pensiero dominante non frena la sua argomentata disamina dello stato attuale del Covid-19. Mentre la sanità pubblica arma gli estintori contro i focolai che si accendono per importazione, scandaglia i positivi asintomatici e lancia sguardi torvi a chi abbassa la mascherina, lui - ex primario pediatra del Bufalini "a disposizione se c’è bisogno" - afferma tranquillamente di tapparsi naso e bocca solo "per paura delle multe, non del coronavirus".
Che significa dottor Biasini? "Che in questo momento pensando alla politica sono depresso. Pur nel rispetto delle persone che a causa del virus sono decedute, io non mi ci ritrovo in questo prolungamento dell’emergenza".
Ossia lei è convinto che la pandemia sia superata?
"I medici sono abituati a curare la malattia, ma di malati non ce ne sono quasi più. Diverso è il compito dei virologi che devono fare i tamponi per verificare a che punto è il virus. Il Comitato Tecnico Scientifico, poi, crea confusione parlando indifferentemente di portatori del virus e malati. Oggi potremmo dire che la pandemia si è trasformata in endemia".
Che differenza c’è?
"Il virus quando penetra in una popolazione fa una curva a campana, ossia cresce, si stabilizza e poi cala, come è successo anche per il Covid-19. Al culmine c’è il massimo della contagiosità, dei ricoveri, della mortalità. Oggi siamo entrati in endemia, e da ben 12 settimane. Il virus attraverso il processo noto come omoplasia (perdita di carica replicativa, numero basso di copievirioni, frammenti di Rna senza integrità virale) non causa più malattia. I focolai di contagiati non sono focolai di malattia, il virus ha perso potenza ed ha sostanzialmente esaurito il suo ciclo produttivo, anche se non si è estinto. Dunque, il virus alberga nella popolazione ma non causa più effetti pesanti". Abbiamo però alle spalle mesi di ammalati gravi e morti. "Quando si è presentato il virus ha mandato in tilt gli ospedali, così come è successo in Lombardia, che non ha usato la territorialità e i medici di base, e non ha impedito che il virus estrasse nelle Rsa, il motivo dell’emergenza e del conseguente lockdown è stato dunque quello di appiattire la curva dei contagi. Oggi non solo ci sono pochissimi ammalati, anche tra coloro che potenzialmente potrebbero averne gli effetti più gravi, ma in più gli ospedali sono attrezzati per curarli e impedire che il virus sia letale".
Quindi possiamo abbassare la guardia?
"Ragioniamo: non ci sono più ammalati nonostante le indubbie violazioni alle misure anticovid. Se il virus fosse ancora contagioso e diffuso, quale enorme impennata di malati avremmo ora? Ci sono molti portatori del virus, si parla di 7 milioni in Italia, ma non sono ammalati. E allora, perché prolungare l’emergenza che ci fa trascurare malati come quelli oncologici, che la vita la rischiano davvero?".
Riaprire le scuole, lei che è pediatra, cosa ne pensa?
"Noi pediatri non siamo stati ascoltati quando chiedevamo di riaprire le scuole per limitare i danni psicologici ed educativi prodotti da questo prolungato isolamento che ha esasperato le diseguaglianze sociali a fronte di un rischio contagio bassissimo. L’efficacia di un insegnamento online così protratto è al momento sconosciuto, ma soprattutto non è stato attuabile per chi non ha internet o capacità informatica".
Possiamo sperare nel vaccino?
"Dai miei contatti con chi sta ora lavorando per arrivare al vaccino emergono diverse difficoltà. Superata le fasi iniziali della sicurezza ora l’efficienza del vaccino va cimentata con la malattia, ma come si fa che di malati non ce ne sono?".