GABRIELE PAPI
Cronaca

La febbre dei cavalli prima dell’Ippodromo

Una lapide ottocentesca in piazza Amendola ricorda la cavalla vittoriosa del possidente cesenate Lorenzo Amadori detto ‘Framadia’

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di Gabriele Papi

La passione romagnola per le corse prima dell’ippodromo: una storia che nasce, piano piano ma irresistibilmente, nell’Ottocento. A raccontarcela non solo documenti d’archivio: c’è anche una lapide marmorea che tuttora campeggia in centro, di fianco al Municipio all’angolo di Piazza Amendola, dov’era l’albergo Torretta e ancor prima l’osteria della Cavalla. Quell’insegna in bassorilievo (la vedete in foto) è più d’una curiosità: è un racconto, uno spaccato storico rivelato dalla commossa iscrizione. "La veloce cavalla inglese che senza stimoli fu sempre vincitrice al corso morì per triste caso in Firenze il 23 giugno 1830 lasciando dolente il suo padrone Lorenzo Amadori".

Occhio ai particolari: Lorenzo Amadori, detto Framadia, era un possidente cesenate: nuovi soggetti sociali entravano in scena. La sua cavalla correva senza ‘stimoli’: un doping crudele di allora, gli stimoli erano cilici dolorosi stretti intorno ai cavalli per farli correre più veloci (gente senza scrupoli ce n’è sempre stata e sempre ce ne sarà). Il fatto che la cavalla muoia per un incidente in corsa a Firenze significa che il suo proprietario affrontava costose trasferte per i gran premi di allora. Ma andiamo con ordine. Le corse di cavalli ottocentesche erano diverse da quelle attuali. La corsa dei cavalli ‘berberi’ (cavalli veloci di sangue arabo) era detta “carriera”: non a caso ancora oggi si dice andare di gran carriera). All’inizio I cavalli correvano sciolti, senza fantini: si correva almeno una ‘carriera’ l’anno a Cesena. Dove si correva? In città. La corsa principale partiva da Porta Romana (Porta Santi), traguardo al Palazzo del Ridotto. L’organizzazione era complicata, con severi divieti: obbligo di tenere i cani in casa, vietato ‘fare ombra’ ai cavalli in corsa, sentinelle a guardia delle vie laterali, per prevenire incidenti (che pure accaddero). Qual era la gran novità che anno dopo anno prendeva sempre più piede? Il pubblico (o almeno chi aveva un po’ di soldi in tasca) poteva diventare parte attiva nelle competizioni: il gusto della scommessa. Inoltre tra i cavalli ammessi alla partenza dall’apposita Deputazione non c’erano più soltanto le scuderie dei nobili locali, ma anche i cavalli dei possidenti emergenti. In qualche modo le corse da aristocratiche cominciavano a divenire democratiche.

Altra novità: a metà Ottocento si svolsero le prime corse ‘con sedioli e biroccini’: il piacere del trotto. Le prime corse di questo genere si svolsero nel Giardino Pubblico, che aveva all’interno una pista circolare, poco soddisfacente. Cresceva la voglia d’un luogo deputato per le corse. 1870: i consiglieri comunali Pietro Turchi e Eugenio Valzania, della minoranza radical repubblicana, proposero al Comune l’acquisto di un’area tra Borgo Cavour e la Ferrovia (da poco arrivata) per le corse dei cavalli, “cosa desiderata dal paese”. La proposta sarà disattesa, ma non spegnerà la passione delle corse che anzi aumenterà. Intanto, al posto del biroccino era arrivato il “sulky”, agile carrozzino con grandi ruote gommate. Da Bologna e da città vicine giungeva l’eco di corse strepitose. La nostra terra era già la culla del trotto.