Gabriele Papi
Cronaca

La ‘bura’ soffia tre giorni E qualche volta di più

Un secolo fa le previsioni del tempo si facevano con i detti popolari centrati sui nomi dei venti dalla ‘curena’ (il garbino) al temibile ‘mangavaca’

Quando le previsioni del tempo, un secolo e più fa, si chiamavano pronostici ed erano determinate da tradizioni empiriche della civiltà contadine basate sul mutare dei venti e di altre osservazioni di campagna: e sul ‘Luneri di Smembàr’ allora tenuto dalla mentalità rurale nella stessa considerazione che oggi, fatti i debiti paragoni, abbiamo per Internet. Abbiamo ripescato per i nostri lettori una chicca: ’Il calendario rustico del tempo’ e in particolare ‘La rosa dei venti a Cesena”, tratta da un gustoso articolo di Giuseppe Belletti, cronista cesenate di novanta anni fa, apparso sulla rivista ‘La Piè’ nel 1932 (consultabile, volendo, nella nostra biblioteca). Cominciamo dunque con ‘la curena’: identificata nel libeccio che spira da sud ovest, vento caldo, a volte forte, abbastanza frequente da noi. Traducendo direttamente dal dialetto, la ‘curena’ ha il fiasco dietro la schiena, poiché spesso porta pioggia. ‘Curena’ è nome popolare dell’entroterra che in riviera diventa ‘garbì’, garbino (nome che viene dall’arabo): per le sue folate afose e opprimenti è vento che può innervosire. ‘Oggi c’è garbino: fischia il vento, urla il riminese’ è il titolo d’un capitolo del divertente libro ‘Alieni a Rimini! Come integrarsi fra i riminesi senza perdere il buonumore’, scritto anni fa da Lia Celi. Se ‘curena’ è ancora dizione corrente, è invece uscito di scena il termine dialettale ‘magnavaca’, nome locale del maestrale, vento di nord ovest, ritenuto poco buono nelle campagne perché apportatore di maltempo. E poi ‘e vent de fiom’, cosiddetto per il suo giungere dalla parte del Savio, da ovest: vento fresco, in genere porta buon tempo ma d’inverno può fare ‘scherzi da prete’.

Intermezzo sulle nuvole: poetica l’antica definizione ‘al roch ad maz’, le rocche di maggio, dedicata alle nubi bianche, a densi cumoli, che appaiono come cittadelle sui nostri cieli di maggio, soprattutto. Regina dei cieli d’inverno sulla Romagna era e resta ‘la bura’, nome direttamente dal greco antico ‘borea’ (vento del nord) che scende gelida da nord est e porta sereno (ma freddo) in pianura e neve in montagna: quando va bene. Proverbiale il detto, da noi: la bora tre giorni. Non sempre, tuttavia. Basta riandare al recente ‘nevone’ del 2012 quando il Burian, nome siberiano della bora, si accanì furiosamente per dodici giorni consecutivi dal 1 al 12 febbraio sulla Romagna e in particolare su Cesena, seppellendoci di neve: quasi due metri in città e tre in collina, scenari da Dottor Zivago e disagi vari. In quella nevicata davvero eccezionale i cesenati sfoderarono buon senso e pazienza, facendo di necessità virtù: non siamo affatto i padroni della natura, anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo.