di Elide Giordani
Ci si potrà anche girare intorno con motivazioni valide ma una elenco di 13 mila romagnoli in attesa di un intervento chirurgico, bloccato tra emergenza covid e endemica lievitazione delle liste d’attesa, fa impressione. Più delle 266 mila visite specialistiche ferme al palo per lasciare campo alla medicina anti pandemia. La chirurgia infatti s’immagina sempre più o meno urgente.
E’ così, dottor Mattia Altini, direttore sanitario dell’Asl Unica di Romagna?
"Intanto dobbiamo precisare che una parte di questi interventi, almeno il 40 per cento, l’attuale dirigenza dell’Asl li ha ereditati dall’epoca pre Covid, benché la Regione abbia lavorato molto sul tema delle liste d’attesa. Si stava lavorando bene quando è arrivata la pandemia". E’ un numero che spaventa.
"Il numero è sicuramente rilevante, ma i casi più urgenti, di classe A e B, sono circa 4 mila. Da luglio a questa parte si è lavorato per priorità clinica dando a loro la precedenza. Abbiamo cercato di recuperare quanto più possibile, utilizzando tutte le strutture sia per le visite che per la chirurgica, e avevamo ottenuto una discreta riduzione del volume delle attese quando è arrivata la seconda ondata del virus. In quella lista comunque sono comprese anche tante necessità chirurgiche che magari incidono sulla qualità della vita, che pure è importante, ma non compromettono la sopravvivenza. Non è escluso, infine, che alcune persone inserite in quella lista siano state operate altrove".
Si riesce ad ottenere un equilibrio tra Covid e altre patologie?
"Ancora oggi secondo la linea adottata, ossia che nessun ospedale è interamente Covid o Covid free, stiamo cercando di mantenere attive le due linee ed è un esercizio di grandissima difficoltà. Siamo convinti che passata l’emergenza anche i numeri della chirurgia potranno essere rimodulati".
C’è il timore diffuso che la priorità del contagio da Coronavirus serri le porte alle altre patologie.
"Su questo siamo molto attenti, tant’è che mensilmente monitoriamo le altre attività, tuttavia, avendo occupato buona parte delle postazione di terapia intensiva per i malati di covid è chiaro che gli interventi di chirurgia che ne hanno necessità sono rallentati. Siamo davanti all’esigenza di discernere tra ciò che non può attendere e ciò che può essere posticipato senza danno alla salute dei pazienti. Siamo convinti che non si debbano procrastinare le diagnosi, benché ciò sia fortemente dipendente dal numero dei contagi e dalla disseminazione del virus".
Qual è la parte che oggi sta subendo la maggiore contrazione per la patologie non Covid?
"E’ l’area pneumologia, internentistica e infettivologica, tre branche specialistiche oggi dedicate per l’80 per cento ai malati Covid".
Tra gli interventi chirurgici in attesa ci sono anche quelli oncologici, dove, come si sa, il tempo ha un’incidenza determinate sulla sopravvivenza?
"La parte oncologica è la nostra prima preoccupazione. Tutti i nostri chirurghi oggi stanno ragionando in base alla priorità clinica, e dunque sulla necessità di intervenire in un tempo adeguato che non generi nocumento a quei pazienti. Insomma, l’oncologico resta al centro della nostra attenzione".
Com’è la dotazione chirurgica della Romagna?
"Molto ampia e sofisticata, tanto che ci consentirà di riprogrammare l’attività con ottimi risultati una volta superata l’emergenza attuale".