di Andrea Sirotti Gaudenzi*
Bisogna ammettere che il Medioevo non è un periodo così cupo come lo si è descritto nei secoli successivi. Tuttavia, il Trecento fu un secolo infausto, che contribuì a “bollare” quell’"età di mezzo" come buia e arretrata. Proprio nel sec. XIV a Cesena si concentrarono eventi tragici: l’assedio della rocca (difesa da Cia degli Ordelaffi) nel 1357, l’arrivo della peste nel 1348, l’invasione delle cavallette nel 1368. Ma l’evento più grave fu il "sacco di Bretoni" del 1377, uno dei più efferati eccidi che la storia dell’umanità abbia registrato. Ai tempi, Cesena era una delle poche città italiane che non avesse aderito all’invito dei fiorentini a partecipare alla "Guerra degli Otto Santi" contro Gregorio XI, intenzionato a riportare la sede del papato da Avignone a Roma. Galeotto Malatesta aveva presidiato Cesena per conto del papa, sino all’arrivo del cardinal legato Roberto da Ginevra, avvenuto nel novembre del 1376. Il cardinale era accompagnato da truppe di miliziani stranieri: i "Bretoni".
Nei primi giorni del mese di febbraio 1377, i cesenati si ribellarono ai soprusi delle truppe mercenarie. Gli storici attribuiscono al celebre capitano di ventura Giovanni Acuto la responsabilità della strage, su ordine espresso del cardinale Roberto. Acuto, con i suoi (che formavano la "compagnia bianca"), entrò nella città e si unì ai miliziani bretoni. I cesenati inizialmente riuscirono a resistere, ma – sopraffatti dal numero dei soldati – furono condannati alla carneficina: era il 3 febbraio 1377. Alcune cronache fanno riferimento a 5000 persone uccise su una popolazione di circa 8000 persone.
Drammatica è la narrazione del Chronicon Estense, in cui si rappresenta la mano barbara colpire con sassi i bambini più piccoli, strappati dalle culle. Il cardinal legato rimase a controllare la città, o – meglio – le "macerie fumanti" di Cesena sino all’agosto del 1377. Galeotto, futuro signore della città, avrebbe potuto far qualcosa per impedire l’eccidio? La maggior parte dei compilatori delle antiche cronache propendono per affermare una serie di responsabilità del Malatesta, il quale sarebbe rimasto insensibile alle richieste d’aiuto dei cesenati, per rientrare nella città distrutta, solo a operazioni concluse. Sino all’Ottocento, la memoria della strage rimase viva e, ogni anno, il 3 febbraio, presso il Convento di San Biagio veniva ricordato l’anniversario dell’eccidio. Poi, con il passare del tempo, la memoria di tragici eventi fu destinata all’oblio.
* autore del libro "L’eccidio di Cesena" ed. Invictus