GABRIELE PAPI
Cronaca

Il poeta delle beffe romagnole. L’affettuoso sfottò ad Artusi

Olindo Guerrini con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti scrisse un divertente trattato culinario

Il poeta Stecchetti (Olindo Guerrini) ospite gradito a Cesenatico nel 1912

Il poeta Stecchetti (Olindo Guerrini) ospite gradito a Cesenatico nel 1912

Il poeta delle beffe romagnole, Lorenzo Stecchetti: nome d’arte di Olindo Guerrini. Eccolo in una cartolina d’epoca a Cesenatico, come si conveniva alle celebrità d’allora. Siamo nel 1912 e Stecchetti, cappello a tesa larga e fiocchetto libertario, è in posa sorridente sulle scale d’uno dei primi villini sul lungomare. Stecchetti (1845- 1916) era il figlio del farmacista di S. Alberto (Ravenna). Da ragazzo fu espulso da scuola perché ne faceva di cotte e di crude. Ma poi fece buoni studi, si laureò in giurisprudenza e divenne bibliotecario dell’Università di Bologna, amico di Carducci e di Pellegrino Artusi. Poliedrico com’era, ebbe modo di scrivere anche un divertente trattato culinario, ‘L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa’, affettuoso sfottò al libro di cucina dell’Artusi. Pur praticando catalogazioni di testi antichi e studi eruditi aveva il gusto della beffa sempre in canna. Come quando, trovandosi in sala professori, beccò il curriculum d’uno studioso e lo inoltrò, in regolare carta bollata, a un Comune vicino Bologna che aveva indetto un pubblico concorso per il ruolo di capo-accalappiacani. Figurarsi lo stupore del ‘magister’ quando si vide convocato a quell’inconsueto concorso ‘canino’. La scelta d’un nome d’arte per le sue irriverenti pubblicazioni, sia in italiano, sia in dialetto romagnolo. racconta il piacere del gioco letterario. Inoltre lo pseudonimo gli fu utile, visto lo scandalo per il suo linguaggio talvolta ‘spinto’ che fece scalpore nella bacchettona cultura del suo tempo. Bolognese d’adozione mantenne sempre un filo diretto con la Romagna e con il suo paese natale, S. Alberto: tanto più che un amico avvocato lo teneva costantemente informato della commedia umana e quotidiana in salsa romagnola dell’amato borgo. Ed ecco fiorire tutto un campionario di tipi e tipe del popolo, che fino ad allora la cultura ufficiale aveva snobbato. Tutta una carrellata di varia umanità: Palinèra, l’alter ego dell’autore, innamorato della Romagna e della bicicletta, gran passione emergente. La Zabariona, pittoresca ostessa che nel suo locale serviva buona cagnina, la Zopa caratèna (la zoppa che fumava la pipa), Tugnazz, l’archetipo del romagnolo della bassa, anticlericale e antimonarchico, cultore di burle pesanti: come quando tirò con la doppietta una impallinata nel sedere del prete di S. Michele, però con pallini da passerotti, per poi scandalizzarsi della querela del prelato che non sapeva stare allo scherzo. Un’antologia di personaggi che fanno dei suoi ‘Sonetti romagnoli’ un’anteprima del futuro ‘Amarcord’ di Fellini (e Tonino Guerra). Se volete farvi due belle risate leggete o rileggete uno dei sonetti più esilaranti: ‘La gita di piacere’. Il racconto di una gita al mare, in carrozza, d’una combriccola di amici che giunta in spiaggia ne farà di tutti i colori, anche il bagno ‘nudi nati’. Poi vanno a mangiare un brodetto di pesce talmente pepato che ci bevono sopra ruscelli di sangiovese. E, con una ‘sbornia che neanche in fiera’, tornano a casa in carrozza cantando le romanze di Verdi. Talmente ‘imbarièg’ (ubriachi) da finire nel canale di Candiano con i cavalli e tutti, rischiando di affogarsi. Però, finisce la poesia: ‘ mo as divartessom’, ma ci divertimmo …