Una storia di Natale sul filo delle veritiere tradizioni popolari: scansando ovvietà e ripetizioni di luoghi comuni. Per questo abbiamo ripescato una suggestiva copertina natalizia de ‘La Piè’, rivista di illustrazione romagnola, del 1963: che sa riportarci indietro nel tempo, Quando l’albero di Natale ancora non era arrivato da noi: non solo per ricordare, ma per capire e ripensare. La bella incisione -che riproduciamo- è opera dell’artista romagnolo Umberto Zimelli che con tratto felice ha ‘reinventato’ una antica stampa popolare. La tradizione è sempre una reinvenzione del passato. Ed ecco allora che la nostra Romagna è raffigurata come una simpatica popolana, scialletto annodato sul petto e capelli stretti nel fazzoletto. Ai suoi piedi lo scaldino e il cesto con la lana da lavorare: ma oggi sta per staccare le sue figurine, i suoi piccoli doni per i bambini e le bambine. E’ una sorta di bancarella, un tempietto del nostro antico cuore. Attenzione ai dettagli, sempre rivelatori. anche quando ci sembrano sorprendenti. Non sorprende la stilizzazione del presepe con Gesù Bambino: presepe, in latino, significa mangiatoia. Né sorprendono i Re Magi. Ma chi sono quelle figurine di donne con un secchio o un cesto sulla testa? Sono le antiche coefore, termine greco che significa portatrici di doni e libagioni. La Romagna fu anche terra a dominazione bizantina. Anzi, furono i Longobardi , e poi i Franchi, a denominare ‘Romània’, nel sesto secolo, la nostra terra che era l’ultimo lembo dell’Impero dei Romani che si era dissolto (ai tempi dell’imperatore Augusto la Romagna non c’era, c’era la ‘Aemilia’). E, non a caso, nel nostro dialetto restano relitti d’origine bizantina: pensate a ‘calzèdar’, il secchio: dal greco bizantino ‘calchidrion’(vaso) poi ‘calcedrus‘ nel latino medioevale. Anche la nostra amata piadina, il pane prima del lievito, ha origini mediorientali. Ed eccoci ai piccoli doni per i ‘burdèl’, in attesa di essere staccati. Galletti di terracotta, cavallini di legno, bamboline, semplici balocchi antichi come il mondo. E un angelo con la sua stella: era molto forte il culto degli angeli, in passato, perché era molto alta la mortalità infantile (ancora a fine ‘800 la mortalità dei bambini da 0 a 5 anni era del 40% a Cesena e dintorni, causa malattie contagiose e abitazioni spesso malsane: la memoria, a differenza della nostalgia consolatoria, è un abbecedario doloroso che ci ricorda la fatica della storia).
E infine la stella. anzi le stelle che costellano e rallegrano l’immagine del Natale. La mancanza della cometa non è una dimenticanza dell’artista che anzi dimostra di aver studiato i costumi della civiltà contadina per la quale, in passato, la stella cometa era cattivo presagio. Inoltre gli stessi Vangeli (compresi quelli apocrifi) parlano solo di una stella quella notte su Betlemme. La sera della vigilia (che in latino significa veglia) si accendeva nel camino ‘e zòc ad Nadèl’, il grosso ceppo beneaugurante, consuetudine in molte campagne. Vigilia stretta anche a tavola: desinare di magro. Ci si sarebbe rifatti il giorno dopo: l’atteso Natale era annunciato dalle campane a fesa che si davano gran voce voce da un campanile all’altro.