LUCA RAVAGLIA
Cronaca

Il mondo di Campedelli: "Il Cesena è per sempre"

Il tecnico della Primavera 1 si racconta, dagli inizi fino ai grandi palcoscenici "Il primo corner conquistato sotto la Curva Mare è ancora da pelle d’oca".

Il tecnico della Primavera 1 si racconta, dagli inizi fino ai grandi palcoscenici "Il primo corner conquistato sotto la Curva Mare è ancora da pelle d’oca".

Il tecnico della Primavera 1 si racconta, dagli inizi fino ai grandi palcoscenici "Il primo corner conquistato sotto la Curva Mare è ancora da pelle d’oca".

"Ai miei tempi, la tecnica la imparavi per forza. Ma mica per fare bella figura col mister… Il problema era giocare in casa in inverno, col pallone di cuoio, che se poi sbagliavi mira e rompevi un vaso, c’era da andare a spiegarlo alla mamma. E non era affatto semplice… Altro che quelli di gomma di oggi…". Se la ride di gusto Nicola Campedelli, seduto al tavolino di un bar centro sportivo di Martorano. Aspetta l’orario di inizio dell’allenamento della sua Primavera e intanto pesca dai ricordi, i ricordi di una vita nel mondo del calcio, vissuta sempre da protagonista.

Campedelli, ha iniziato da piccolissimo. "Diciamo che ho cominciato a camminare e pochissimo tempo dopo è arrivato il calcio. Sono nato nel 1979: allora da piccolo potevi giocare solo con gli amici nel parco sotto casa e ovviamente io ero in prima fila, con mio fratello, di cinque anni più grande di me. La differenza di età si faceva sentire, ma l’amore per il pallone ci ha sempre uniti".

Lei e Igor. "Io ero più un ‘corridore’, lui era il bomber… Ma del gruppo facevano parte anche il babbo e nostro cugino. Ci divertivamo da matti. La passione nasce da lì, da quei momenti in cui sei un bambino e l’unica cosa a cui pensi è inseguire un pallone. Con tutti i sogni che sono chiusi lì dentro".

Primo tesseramento? "Sono di Gatteo, allora però la squadra più vicina era la Savignanese. Andai là: avevo otto anni e ci rimasi fino ai dieci. Crescevo, facevo nuove amicizie, mi divertivo sempre di più".

Il primo contatto col Cesena? "Da tifoso. Andavo allo stadio, la squadra era in serie A, il pubblico era ovunque, in campo c’erano i campioni. Il tifo è una parte imprescindibile dello sport, chi lo mette in dubbio venga a vedere una partita. Al Cavalluccio arrivai dopo la Savignanese e feci tutta la trafila delle giovanili, fino al debutto in prima squadra".

Lo ricorda ancora? "E’ uno dei momenti più belli della mia carriera. Parlo e mi ritrovo lì, stagione 1999-2000, Cesena-Pescara. Entro in campo e ci metto tutto quello che ho. A un certo punto guadagno un corner. Lo ridico, per non essere frainteso: non ho dribblato tutta l’altra squadra e segnato un gol, ho solo conquistato un calcio d’angolo. La curva è esplosa in un boato che non so come poter raccontare. Dico solo che ogni volta che ci penso, mi viene la pelle d’oca".

Qui si sfornano talenti plasmati nel vivaio. Lei è uno di quelli. Qual è il segreto? "Si potrà dire che Cesena non è Milano, o Torino, o Roma. Ovvio, per forza. Ma anche se qui non ci sono quei blasoni, quei budget e quei giganteschi bacini dai quali pescare, c’è comunque tantissimo altro. Il cuore, per esempio. Il cuore di chi allena i ragazzi e che mette l’anima in quello che fa, così come ce la mettono i giocatori del vivaio. Cesena non sarà enorme, ma ha la possibilità di pescare quanto meno in tutto il bacino romagnolo. Che non è piccolo. Parliamoci chiaro, se sei nato da queste parti e ti piace il calcio, la prima cosa che fai è sognare di giocare nel Cesena. Anche per merito dei tifosi, che i ragazzi del vivaio se li coccolano, li aspettano, li spingono. In tanti posti non è così".

Neanche il fallimento del club ha rotto la magia. "Il prezzo più alto lo hanno pagato le annate 2005 e 2006, quelle che alleno ora. Tanti ragazzi lasciarono la città e andarono altrove. Quelli che sono rimasti ci hanno creduto, hanno lavorato tantissimo. E spesso hanno pure messo la freccia. Ora siamo qui, in Primavera 1, a giocarcela contro i migliori d’Italia. Gente che magari ha pure debuttato in Champions League".

Vi state togliendo tante soddisfazioni. "E’ uno stimolo enorme, per me e per i giocatori. Certo, abbiamo perso una serie di gare all’ultimo secondo e il rammarico c’è stato, legato però alla consapevolezza di essere riusciti a creare problemi, problemi seri, a chiunque. Avanti così".

Torniamo al Campedelli giocatore. "Il Cesena mi ha dato tantissimo, preparandomi per la serie A e pure per la maglia azzurra della nazionale under 20 e 21. Poi approdai alla Selernitana per due anni. Due anni di grande crescita personale, divenni anche capitano".

Racconti. "Allenava Zeman, venne da me e mi assegnò la fascia. Lo guardai stupito e lui, col suo inconfondibile accento, mi disse semplicemente: ‘Tu corri più di altri…’. Fu un grande attestato di stima. Al quale seguì quello dei tifosi".

Poi Modena. "Cinque anni, tanto tempo e tante soddisfazioni. Venni a giocare a Cesena e il pubblico mi applaudì. Ero a casa mia e vedere che la mia città si ricordava ancora di me mi conquistò. Ero nel pieno della carriera e pur con tante richieste, decisi di venire a Cesena. Volevo fare qualcosa di grande qui, in bianconero. Andò male, un grave infortunio mi tolse troppo presto dal calcio giocato".

Così si è spostato in panchina. "Adoro ogni aspetto del calcio".

Ha pure allenato in prima squadra, con suo fratello presidente. Durò troppo poco e non andò bene. "Ci sono momenti. Quello non fu fortunato. E’ passato, guardo avanti, senza rimpianti".

Da tecnico della Primavera, come si allena chi sogna di diventare un campione? "E’ legittimo provarci, a me è andata bene, ma non sempre va così. Bisogna essere razionali, non smettere di credere in ciò che si fa e soprattutto non abbattersi mai. Anche chi non diventerà un calciatore professionista, avrà comunque vissuto anni indimenticabili, che lo avranno formato come persona. L’esperienza vissuta in questo mondo fatto di impegni, responsabilità e sacrifici, non si compra con niente".

E’ rimasto in contatto coi suoi compagni di allora? "Abbiamo una chat dedicata al gruppo del ’79. Siamo rimasti in contatto. Uno di noi è di Roma, si è fermato prima della Primavera, ora nella vita fa tutt’altro. Ma ha un tatuaggio col Cavalluccio. A volte ci incontriamo e quando siamo andati a giocare nella capitale, è venuto a vederci. Lo ho presentato ai ragazzi e ho parlato del tatuaggio".

Cosa ha detto? "Che il Cesena è per sempre".