GABRIELE PAPI
Cronaca

Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbiette

La ghigliottina in salsa cesenate era di forma quadrata, più ’dolorosa’ rispetto a quella francese

Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbiette

Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbiette

Cesena e la ferocia pubblica di ieri: ghigliottina, gabbiette con teste mozzate di briganti, boia invisi alla popolazione. Vicende poco raccontate in questi nostri tempi dove spesso prevale il racconto storico dolcificato, ma utili a capire la faticosa marcia della civiltà. Rialziamo il sipario. In Archivio Storico c’ un documento rivelatore: il ‘Liber Malleficiorum’ (oggi diremmo ‘Criminal Minds’) che raccoglie i procedimenti penali di cinquecento anni fa, comprese le esecuzioni capitali in città. In quei tomi lo scrupoloso cronista disegnò anche l’antenata della ghigliottina in salsa cesenate. Riproduciamo uno dei due disegni che raccontano com’era fatta quella macchina di morte: un telaio quadrangolare in cui scorreva un pesante coltello trattenuto da una corda; lama che piombava, una volta che il carnefice avesse tagliato la corda, sul collo del condannato. La principale differenza rispetto alla moderna ghigliottina, ‘raffinata medicina’ della Rivoluzione Francese quattro secoli dopo, era la forma della mannaia. Quadrata quella romagnola, obliqua e a mezzaluna quella francese. Curiosità storica. Fu lo stesso Re di Francia ad approvare nel marzo 1792 il perfezionato strumento che rendeva ‘meno dolorosa’ l’esecuzione capitale. Lo sventurato Luigi XVI ignorava che dieci mesi dopo sotto la ghigliottina ci sarebbe finita anche la sua testa.

Nei secoli passati, anche a Cesena, le pubbliche esecuzioni prevedevano l’esposizione di resti dei condannati in punti nevralgici della città: ‘ad ammonimento dei malvagi e per tranquillità dei buoni’, Come nel caso di Bascoza e Ragnino, due briganti matricolati le cui teste mozzate furono esposte in due gabbiette all’ingresso esterno di Porta Fiume nel 1731 e lì rimasero esposte per oltre un secolo originando pittoreschi modi di dire e rudi insegnamenti ai bambini di allora. Della serie: ‘se non la smetti di fare il birichino farai la fine di Bascoza e Ragnino’. Particolare saliente: lo sbirro che aveva mozzato la teste la testa dopo l’esposizione dei cadaveri in piazza grande a Cesena fu soprannominato ‘Tagliatesta’. La figura del boia era terribilmente invisa alla popolazione. Non a caso anche oggi - secoli dopo- il termine ‘boia’ continua a condire fumanti imprecazioni e invettive. Siparietto finale, tratto dalle ‘Memorie’ ottocentesche di Zellide Fattiboni, laica figlia di Vincenzo Fattiboni, carbonaro e patriota cesenate perseguitato dal regime pontificio. Quel lontano 5 novembre 1854, racconta la nostra cronista, una notizia serpeggiò veloce a Cesena: Il boia sarebbe passato in città pernottando in Rocca per poi portarsi a Macerata dove l’attendeva una esecuzione. Già all’alba una piccola folla si assiepò lungo la discesa che dalla Rocca porta a Piazza grande ‘per avdè e boja’, per vedere il boia. Finalmente il boia passò, armato di stocco (robusto pugnale) e pistole alla cintola, scortato da carabinieri anch’essi armati. Era già capitato che il boia avesse ricevuto non solo invettive, ma ortaggi e sassate. Anche l’accalappiacani era definito dai nostri antenati il “boja di chen’ perché pigliava i randagi con una lunga asta terminante con un cappio a nodo scorsoio.