
"I due clan come metafora dei pregiudizi"
di Raffaella Candoli
Un dramma senza tempo, paradigmatico dei conflitti dell’umanità, ’Romeo e Giulietta’, o meglio ’Romeo și Julieta’ dopo l’anteprima a Bucarest, in Romania, debutta in prima nazionale al Bonci, da stasera a sabato alle 21, e domenica alle 16. Il testo di Shakespeare, del quale il regista Michelangelo Campanale cura adattamento e scene, è una coproduzione internazionale di Ert, La Luna nel Letto e Teatro Excelsior di Bucarest, recitato in italiano, rumeno (con sottotitoli in italiano) e inglese. Viene portato in scena da 13 artisti appartenenti a due mondi apparentemente distanti, la Romania e l’Italia, a rappresentare veri e propri clan, nella città di Verona: i Capuleti italiani e i Montecchi rumeni, con lo scontro fra lingue e culture diverse, attizzato dall’amore tra i due adolescenti.
Michelangelo Campanale, l’usare lingue diverse fa entrare nella babele dei sentimenti che si agitano nei personaggi?
"Rappresenta una metafora delle incomprensioni che derivano non tanto dalle parole dette, quanto da pregiudizi di base, scontro tra culture, rifiuto delle diversità. Le azioni coinvolgono entrambe le fazioni che si muovono in branco, tant’è che è il gruppo che muove la mano di chi accoltella l’altro nella faida tra le due famiglie. Solo Romeo che è un Montecchi, dunque rumeno, si sforza di parlare la lingua di Giulietta Capuleti, che è italiana. Ma l’odio degli adulti uccide qualsiasi intenzione di cambiamento".
L’inglese è invece funzionale alle parole di Shakespeare. Chi le pronuncia?
"Il sacerdote, la figura religiosa che ha un ruolo importante nella vicenda e che nel mio incipit, indossando una tunica nera che non identifica la religione ortodossa dei rumeni, né la cattolica nostra, introduce la storia con la sacralità e la cadenza solenne con cui si legge un passo della Bibbia. A corredo della scena molto essenziale, essendo io anche artigiano, ho riprodotto il Cristo di Giotto custodito in Santa Maria Novella a Firenze".
Come hanno lavorato le due compagnie per un fine comune?
"Con un approccio delicato e per quanto possibile privo di prevenzione. Con rispetto l’uno dell’altro. Diciamo che si sono ‘annusati’ per capire che sul palco si parla la stessa lingua".
Lei ha riscontrato una fisicità negli attori rumeni che in Italia si è persa.
"Vero, ed è stata una piacevole scoperta, oltre a constatare come in Romania ci sia più attenzione al teatro, con compagnie stabili assunte dai teatri stessi. Gli attori che escono dalle scuole italiane di arte drammatica hanno buona preparazione recitativa, ma dalla testa in giù c’è tutto il corpo e la gestualità che rappresenta. Veniamo dalla Commedia dell’Arte, ma l’uso della corporeità in toto si è persa. Non così i miei attori. Ho lavorato per anni con Sosta Palmizi che diffonde la cultura della danza e chi lavora come me e il mio coreografo, deve usare tutto il corpo, come nella danza, una delle forme espressive più potenti. Non dimentichiamo la meraviglia del balletto classico ‘Romeo e Giulietta’ con le musiche di Prokofiev".
L’anteprima nella capitale rumena in vista del debutto a Cesena com’è stata?
"Ero un po’ timoroso, ma è andata magnificamente. Tre repliche e, dopo ogni rappresentazione, condividendo com’è d’abitudine in Romania, un buffet col pubblico, ho ricevuto i complimenti di gente d’ogni età, e di gruppi di giovani, con le lacrime agli occhi, che ringraziavano".