Mentre piove, e l’acqua del fiume Savio si alza innescando qualche brivido, un’analisi del presidente regionale dei geologi, il cesenate Paride Antolini, dà voce ai quesiti che in questo frangente girano in testa a tutti: cosa sta succedendo in Romagna? Perché per una pioggia, abbondante ma non torrenziale, i fiumi danno segni di minaccia?
Le domande sono a corollario di una foto pubblicata da "Cesena di una volta" che come sempre coglie nel segno suggerendo un confronto tra ciò che c’era (o meglio, che non c’era) e oggi. Proviamo a guardare la foto immaginandoci al culmine della gobba del Ponte Vecchio. Siamo nei primi decenni del 1900, in fondo c’è il Ponte Nuovo da poco costruito (1914), le golene (la parte pianeggiante tra la riva e l’acqua in tempo di magra) sono più basse rispetto ad oggi.
La destra idrografica del fiume, che si identifica come nella foto volgendo le spalle alla sorgente, ci mostra un vuoto, oggi colmato dalla caserma della polizia stradale, dai pini e tutte le costruzioni di viale IV Novembre. Dottor Antolini, che altro ci suggerisce quella foto?
"Tutti si concentrano sull’ampiezza dell’alveo del fiume Savio, le piccole golene laterali sono appena accennate se non assenti, ma il letto del fiume era spostato a sinistra, dove ora passa un sentiero per le mountain-bike, mentre oggi il Savio scorre attraverso la seconda e terza arcata. La quarta e la quinta arcata appaiono nella foto parzialmente occluse da una porzione rialzata funzionante da golena. L’argine di destra appare più basso di qualche metro, come pure in sinistra idrografica dove appare una zona concava poco dopo il Ponte Vecchio".
In sintesi?
"Il volume di acqua che poteva passare dal Ponte Nuovo era più o meno quello che può passare ora, ma la zona a destra, dove ora c’è la caserma Decio Raggi, i pini e le costruzioni, allora poteva fungere da area di laminazione, come pure il quartiere Campino e l’area dell’ippodromo. Abbiamo rialzato gli argini, ma tolto spazio all’acqua delle fiumane, costruito case, e rimandato il problema a quelli che abitano dopo il Ponte Nuovo".
Morale?
"Se l’imbuto ha una determinata sezione è impossibile farci passare più vino senza che questo trabocchi".
Ma gli argini più alti non costituiscono una protezione?
"Non se si continua a restringere la sezione. Se abitassi sotto un argine alto non sarei per nulla sicuro, prima o poi qualcosa succede. Vanno eliminati gli imbuti e riadattati i ponti".
Di cosa parliamo in concreto? "Di una sfida durissima che, vista l’impossibilità di allargare l’imbuto, si potrebbe partire da un Ponte Nuovo diverso, con lo sgombero di tutte le cinque arcate per essere efficiente nel rapporto con il meteo che sta cambiando. Ma anche il ponte sulla ferrovia evidenzia problematiche, così come la passerella di legno che si presenta troppo bassa sul letto del fiume. Il problema, però è anche quello di trattenere le acque a monte".
E come si trattengono?
"Le piene ripetute, che portano l’acqua dell’Appennino fino a noi, hanno pulito fossi e rigagnoli dalla vegetazione e dalle ramaglie che prima trattenevano l’acqua, che ora arriva molto più velocemente alla pianura. I fiumi devono avere anche la vegetazione. Poi c’è il problema dei tronchi e delle ramaglie che arrivano a valle. Una problematica difficile da arginare in un territorio che ha anche montagne e foreste, se non intervenendo laddove si accumulano".
Da dove cominciare, dunque? "Da un piano integrato. Non è che si possa concentrarsi solo sull’asta del Savio tra i ponti cittadini. Occorre ragionare su un percorso che abbia soluzioni in ogni suo tratto. E’ quello che aspettiamo".