Cesena, 8 agosto 2024 – Superata la barriera culturale (e ce ne vuole…) ecco un prodotto che si dice apprezzabile sia per il gusto che per le caratteristiche nutrizionali. Ma quanto tempo occorrerà, se mai l’offerta incontrerà la domanda, perché nel classico chiosco si possa trovare la piadina fatta con farina di insetti? Prima di buttare nel contenitore dell’organico sia il prodotto che l’idea bisogna guardare al futuro di un mondo che lotta contro l’impatto della produzione del cibo. Peraltro, se in altre parti del pianeta gli insetti, anche interi purché ben soffritti, sono un piatto apprezzabile una ragione ci sarà. In soffitta gli schizzinosi, dunque, e via a una sperimentazione che guarda al futuro. Non poteva ignorarla il Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari, costola dell’Alma Mater insediata a Villa Almerici. E infatti la cesenate Chiara Lavezzo, una dei primi laureati in Scienze e cultura della gastronomia, corso di studi recentemente istituito, ha prodotto una tesi sull’argomento. “I ragazzi che si sono laureati in questa prima sessione - precisa il professor Massimiliano Petracci, relatore della tesi sugli insetti commestibili - hanno un orientamento ben preciso nell’ambito della ristorazione, in cui andranno ad impegnare le proprie competenze”.
Professor Petracci, la piadina è il vessillo della tradizione culinaria romagnola, com’è possibile sposarla con la farina di insetti?
“Perché no? Il modo giusto per inserire gli insetti nella gastronomia tipica è proprio quello di impiegarne le farine. Inserire le larve è prematuro e per il momento potrebbe restare una scelta relegata alla curiosità, magari per inventiva di uno chef di grido che vuole sorprendere”.
E perché la piadina?
“Perché la sfida è proprio quella: portare una novità in un prodotto tradizionale. Inserire una quota di farina di insetti, accanto a quella usuale, potrebbe non marcare una differenza sostanziale al gusto ma evidenziare una scelta che apporta elevato valore proteico e va incontro alla prescrizione di alcune diete”.
Ma come abbattere le nostre barriere culturali che guardano agli insetti con disgusto?
“Richiede tempo e forse molti abitanti dell’area mediterranea non si convinceranno mai, ma le abitudini di altri Paesi insegnano. Per questo si deve cominciare dai derivati degli insetti, che saranno frutto da allevamento, non raccolti in natura come succede in Africa o nei Paesi orientali”.
Quindi i vostri studi si applicano su derivati che già esistono in commercio?
“Appunto, prodotti esistenti di cui sperimentiamo l’utilizzo e le loro potenzialità. L’obiettivo va di pari passo con la sostenibilità in modo che anche l’allevamento degli insetti diventi un’alternativa interessante rispetto ad altre produzioni più impattanti”.
Dove sono reperibili i derivati?
“Non sono così facili da trovare. In genere ci si approvvigiona attraverso e-commerce poiché la produzione nazionale è ancora in fase di avvio. I primi allevamenti sono stati impiantiti in Danimarca e Olanda. Ma ce ne sono anche in Francia e in Polonia. Producono sia per l’alimentazione umana che animale. Ma si tratta di piccole realtà poiché i costi di produzione sono ancora elevati”.
Di quale tipo di insetti parliamo?
“Sono poche le specie trasformate in farina, ci sono i grilli e la cosiddetta mosca soldato, raccolta allo stato larvale e trasformata in farina proteica e olio. Sono le specie autorizzate con una base su cui anche gli allevatori possono contare”.
Lei l’ha assaggiata la piadina con farina di insetti?
“No. A dire la verità non sono molto attratto ma è giusto non mostrare chiusura. Nessuno è costretto a mangiarla. Però siamo tanti e la popolazione mondiale è destinata a crescere. Produrre alimenti per tutti è una sfida, variegare le fonti è auspicabile. Partire ora punta anche alla futura indipendenza produttiva”.