PAOLO MORELLI
Cronaca

Il fallimento dell’Ac Cesena: “La società poteva salvarsi”

Stefano Bondi, già presidente del collegio sindacale, ha ricostruito l’andamento finanziario dal 2010 al 2018

L’ingresso del Palazzo di Giustizia di Forlì

L’ingresso del Palazzo di Giustizia di Forlì

Cesena, 29 gennaio 2025 – Si difendono con caparbietà gli imputati del processo per la bancarotta dell’Ac Cesena che si sta svolgendo davanti al collegio giudicente presieduto dal giudice Marco De Leva. Ieri è stata la volta del commercialista Stefano Bondi, presidente del collegio sindacale della società calcistica dal 2008 al 2018, quando ci fu il fallimento, e dal 2016 della società cooperativa Cesena & Co che formalmente controllava l’Ac Cesena con lo scopo di alleggerirne l’esposizione finanziaria.

L’interrogatorio di Stefano Bondi, difeso dall’avvocato Alessandro Melchionda di Bologna, è durato più di due ore durante le quali ha tenuto testa senza mai indietreggiare davanti all’incalzare delle domande del pubblico ministero Francesca Rago; Bondi ha ricostruito partendo dal 2010 le mosse per mantenere in linea di galleggiamento la barca del Cavalluccio nonostante il forte indebitamento (soprattutto con il Fisco) e le difficoltà per reperire la finanzia necessaria a saldare con regolarità bimestrale gli stipendi per i calciatori, lo staff tecnico e gli altri dipendenti.

Seguendo il filo logico del ragionamento dipanato da Stefano Bondi, l’Ac Cesena avrebbe potuto evitare il fallimento: al momento in cui la proprietà tornò nelle mani di Giorgio Lugaresi dopo la parentesi di Igor Campedelli, i debiti nei confronti del Fisco (Irpef, Iva e altri tributi) ammontavano a 115 milioni di euro, mentre nel 2018, quando arrivò il fallimento su istanza della Procura della Repubblica, l’indebitamento si era ridotto a 72 milioni di euro. La strategia della società era di trovare un accordo con i creditori per fare un concordato e ripartire con una società finanziariamente risanata. “Era quasi tutto a posto – ha detto e ripetuto rispondendo alle domande del pubblico ministero –, avevamo raggiunto l’accordo con la maggior parte dei creditori e erano disponibili le risorse finanziarie per pagare chi non aveva aderito al concordato; mancava solo l’Agenzie delle Entrate alla quale, a fronte dei 72 milioni di debiti, erano stati offerti 20 milioni di euro, ma non arrivò mai il ‘sì’ che ci avrebbe consentito di ripartire”.

Se sia stata corretta la decisione dell’Agenzia delle Entrate di rinunciare ai 20 milioni offerti per cercare di incassare i 72 milioni dal fallimento dell’Ac Cesena lo si potrà dire solo quando il curatore fallimentare Mauro Morelli chiuderà i conti, ma l’impressione è che, come spesso avviene in situazioni analoghe, il gioco non valga la candela, cioè dalla liquidazione dei beni e dal recupero dei crediti non si recuperi quanto si poteva ottenere aderendo al concordato. Senza contare l’impatto sociale del fallimento di una società calcistica che non è solo un’azienda, ma un partimonio comune della città.

Ieri ha deposto anche Giuseppe Casamassima, segretario della Covisoc, la commissione che controlla la correttezza economica e finanziaria delle società di calcio: ha spiegato che le contestazioni a Cesena e Chievo per le plusvalenze fittizie furono un’iniziativa della Procura federale che non coinvolse la Covisoc che, peraltro, non può intervenire direttamente nei bilanci delle società, ma solo dare indicazioni e raccomandazioni. I report positivi dell’Agenzia delle Entrate sul pagamento delle imposte, sempre rateizzate, da parte del Cesena consentivano l’iscrizione al campionato successivo. Nel 2015 furono elaborate norme di controllo più stringenti, ma sono entrate in vigore nel dicembre 2018, dopo il fallimento dell’Ac Cesena.