
Nelle scuole italiane uno dei temi più delicati è quello delle regole imposte all’abbigliamento degli studenti per evitare che si presentino a lezione vestiti in modo sconveniente. Gli insegnanti insistono su questo punto perché, secondo loro, è anche grazie a queste cose che si impara ad avere rispetto per la scuola.
Alcuni aggiungono che avere un dress-code in ambito scolastico può essere utile per preparaci ad entrare nel mondo del lavoro, dove un abbigliamento giudicato poco consono può portare a non essere assunti o al licenziamento. Siamo consapevoli dell’importanza di capire e rispettare la differenza tra un ambiente informale come la nostra casa e uno formale come la scuola o il posto di lavoro, ma non siamo convinti del fatto che tutti i “sacrifici” richiesti siano ragionevoli. In più, i vari regolamenti scolastici spesso non aiutano a fare chiarezza, ma preferiscono restare sul vago senza specificare che cosa intendano per “abbigliamento adeguato”, che è qualcosa di soggettivo. Nelle scuole che sono entrate nel dettaglio pubblicando dress-code più specifici che vietavano esplicitamente gonne corte, piercing e pantaloni a vita, sono nate polemiche anche spiacevoli con gli studenti. Ad esempio, a settembre in un liceo romano delle ragazze sono state invitate a coprirsi di più perché ai professori “poteva cadere l’occhio”. La notizia è stata riportata sui giornali e ne abbiamo discusso anche in classe. “Non riesco a capire con che coraggio si possano fare questi ragionamenti: fanno proprio venire voglia di sfidare queste regole. È giusto chiedere un abbigliamento adeguato, ma la motivazione non può assolutamente essere questa”, commenta Matilde. “Si lancia un messaggio sbagliato perché, invece di educare al rispetto del corpo degli altri, si preferisce imporre regole che limitano la libertà delle ragazze. Alcuni dicono che è per il loro bene ma, più che essere protette, noi ragazze vogliamo essere rispettate e non discriminate”, aggiunge Wiam. La sensazione è che la maggior parte delle polemiche riguardi le ragazze, che vengono etichettate e giudicate in base al loro modo di vestire con più severità rispetto ai loro compagni maschi. “Tutti sono pronti a colpevolizzare le ragazze, ma non può capitare lo stesso con i ragazzi? Quando indossano maglie aderenti non possono distrarre le compagne di classe – o le prof? Perché non si sentono mai polemiche di questo tipo? ” chiede ironicamente Irene. Ma la componente maschile della classe ha qualcosa da ridire.
“I ragazzi non sono più liberi, anzi! Le ragazze si sentono prese di mira, ma in realtà possono vestirsi prendendosi molte più libertà di noi” sostiene Giordano. In ogni caso, bisognerebbe che le scelte fatte in materia di dress-code fossero chiare e motivate. “Se si decide che un tipo di abbigliamento è inadeguato ci deve essere una regola chiara e messa per iscritto, altrimenti ci saranno sempre delle polemiche. E deve valere per tutti, anche per gli insegnanti” precisa Irene. Uno degli aspetti più antipatici della questione, infatti, è che a volte gli adulti per primi non rispettano quelle stesse regole che vogliono imporci. Elisa racconta: “Per il primo giorno di scuola una mia amica ha indossato una gonna che le arrivava alle ginocchia: era dalla fine di febbraio che non rivedeva i suoi compagni tutti insieme per via del Covid, e per l’occasione si era voluta mettere qualcosa di diverso dal solito. Quando si è seduta, la gonna si è alzata di poco sopra le ginocchia, e subito la sua prof l’ha rimproverata dicendole che quello non era l’abbigliamento adatto per venire a scuola. Peccato che la prof indossasse anche lei una gonna, ben più corta di quella della mia amica!”
“Una cosa che mi dà fastidio è che le insegnanti possano vestirsi come vogliono, con gonne corte o maglie scollate, mentre se lo facciamo noi ragazze veniamo richiamate. Se non è inappropriato per loro perché lo è per noi?” si chiede Victoria. E allora, data la delicatezza della questione, qual è la soluzione migliore per evitare polemiche e, allo stesso tempo, rispettare il decoro? “Nel regolamento del nostro istituto c’è scritto solamente che bisogna curare la propria igiene personale e vestirsi in modo adeguato, senza indicazioni o restrizioni più specifiche”, testimonia Aurora. “E secondo me è sufficiente così: a nessuno di noi verrebbe in mente di venire a scuola in minigonna o infradito. Queste sono regole non scritte che tutti conoscono e rispettano, e finora non ci sono stati problemi”.
Un regolamento troppo rigido diventerebbe ridicolo e rischierebbe di ottenere l’effetto contrario perché, si sa, una cosa proibita ha più fascino. Secondo Elisabetta, “Bisogna fare attenzione e muoversi con intelligenza e delicatezza, perché è proprio a causa delle polemiche sollevate da regole assurde e ingiuste che diverse persone sono portate a pensare che le regole non ci dovrebbero essere del tutto. Il che è sbagliato: l’assenza di regole non significa la libertà, ma il caos”. “Porre delle regole troppo rigide farebbe fare brutta figura ai professori e alla scuola stessa: è meglio lasciare ad ognuno la responsabilità di vestirsi in modo adeguato. Avere più libertà significa anche esporsi al rischio di essere giudicati in modo sfavorevole” aggiunge Wiam. Per Matilde “Questa libertà va data, anche se il risultato non sempre è di nostro gradimento. Personalmente, non porterei mai una cresta punk, ma se a qualcuno piace non mi sento in diritto di impedirgli di essere felice e di fare qualcosa per piacersi di più”. “Un ragazzo o una ragazza che deve portare vestiti che non gli piacciono e non lo rappresentano non può stare bene con se stesso. La scuola è uno dei luoghi in cui passiamo più tempo ed è importante che noi possiamo sentirci a nostro agio per essere più concentrati”, sostiene Wiam. “Se vestissimo tutti allo stesso modo, magari con una divisa, certe discussioni non ci sarebbero; ma secondo me è più bello vestirsi a modo proprio perché così si può esprimere la propria personalità in modo creativo” conclude Aurora.
La classe 3E di Roncofreddo