Cesena, 8 luglio 2020 - Casi sporadici (anche ieri due positivi, una donna di Sarsina tornata dall’estero e una signora di Borghi rivelata contagiata dopo lo screening sierologico), piccoli focolai tenuti a bada col rigore che la situazione richiede, nessuna ospedalizzazione. È questa, al momento, la faccia del Covid-19 nella nostra area. Ma cosa si nasconde dietro al rarefatto stillicidio di contagi che ci fa annaspare verso l’auspicata scomparsa del virus? Tra i ricercatori di maggiore attendibilità nell’ambito dello studio sulle malattie virali, dunque del coronavirus, c’è anche il professor Vittorio Sambri, direttore della Microbiologica del Laboratorio Analisi di Pievesestina.
Sambri, da dove piovono questi contagi di cui, come nel caso del 15enne le cui frequentazioni sembrano tutte negative, non si riesce a capire l’origine? "Eh, non è piovuto dalla luna. È successo che il ragazzo ha frequentato luoghi affollati e ha contratto l’infezione".
E perché la sua cerchia di relazione è risultata negativa? "Bisogna aspettare un po’. Gli accertamenti, giustamente, sono stati fatti immediatamente ma non sappiamo quanto tempo fa sia stato contagiato. Tutte le persone che ha frequentato continuano ad essere sotto osservazione, se un contagio c’è potremmo individuarlo tra qualche giorno. È così che si tiene in osservazione un possibile focolaio, sorvegliando i contatti relativi ad un periodo di almeno 15 giorni a ritroso".
È la stessa tempestività adottata per altri focolai come quello dei senegalesi e dei venti bengalesi? "Sì, bisogna agire subito, e oggi è più facile. Ci sono meno ammalati e le strutture lavorano con l’esperienza acquisita in questi mesi. Noi oggi, a Pievesestina, certifichiamo circa mille tamponi al giorno".
Quello che si vede oggi può essere considerato un virus di importazione? "Si è possibile, lo dice l’epidemiologia delle persone coinvolte in questi focolai. Si tratta prevalentemente di soggetti tornati dall’estero portandosi dietro il virus. È logico pensare che non si tratti di un virus che circolava qui da noi e su questo stiamo facendo le verifiche".
Quanto tempo occorrerà per certificare questa diversità? "Una settimana, dieci giorni al massimo".
Servirà a tarare la cura? "No, servirà per capire cosa ci sta succedendo. Più elementi conosciamo e maggiori sono le probabilità che il controllo sia efficace. Sono informazioni che noi condividiamo immediatamente con il dipartimento di Sanità Pubblica perché faccia al meglio il suo lavoro".
Come possiamo fotografare la situazione attuale considerato che il virus pare in regressione? "Non si dica che il Covid è scomparso. Né in Italia né nel resto del mondo. Beneficiamo di una serie di misure che ci sono costate molto anche in termini emotivi oltreché economici, ma hanno avuto un’efficacia dimostrabile. Il virus è cambiato. Lo dicono fonti prestigiose ed attendibili. È diverso, ha caratteristiche di maggiore infettività".
Ma la mortalità è scesa. "Siamo noi che abbiamo imparato a gestire questo tipo di infezione. Ora ci sono controlli meticolosi. All’inizio abbiamo lasciato a casa persone con un chiaro sospetto Covid dicendo loro di assumere una tachipirina. Una parte di loro sono poi arrivati in terapia intensiva. Abbiamo capito poi che questa è una malattia che va tenuta il più possibile fuori dall’ospedale. La risorsa è gestire gli ammalati appena vengono identificati, magari con ospedalizzazioni brevi".
Cosa dobbiamo fare ora? "Non mollare di un millimetro le precauzioni, dunque distanza interpersonale, mascherine e sanificazioni delle mani più volte al giorno. Le misure ci consentiranno di vivere sereni".
Cosa succederà in autunno? "L’intera rete regionale si prepara per almeno 15 mila tamponi al giorno, poiché dovremo verificare tutte quelle affezioni che prima si qualificavano come semplici raffreddori ma che da ora in poi dovremo analizzare con attenzione. Qui a Pievesestina ci spetteranno 3.800 tamponi ogni giorno".