di Maddalena De Franchis
Più che un bollettino meteo, una benedizione: l’annunciato arrivo della pioggia – da domani, secondo le previsioni – promette di salvare le semine degli agricoltori e dare finalmente sollievo alle campagne romagnole, piegate da una siccità ostinata e senza precedenti nella storia recente. Anche le associazioni di categoria, tra cui Coldiretti Forlì-Cesena, hanno accolto con favore la notizia: le abbondanti piogge – e la neve, prevista sul crinale appenninico da venerdì 1° aprile – serviranno a rimpinguare riserve idriche ormai a secco. Secondo il monitoraggio di Coldiretti, infatti, la scarsità d’acqua ha messo a rischio almeno il 30% della produzione agricola regionale, fra pomodoro da salsa, frutta, verdura e grano, e la sopravvivenza di metà degli allevamenti localizzati nella pianura padana, dove il fiume Po fa registrare un livello idrometrico di -3,3 metri. Più basso che a Ferragosto.
Intanto, in una situazione internazionale ancora segnata da forti tensioni - e dai conseguenti fenomeni di accaparramento e speculazione di materie prime - sono partite anche in Romagna le prime semine primaverili di mais, soia e girasole, incentivate dall’Unione europea per ridurre la dipendenza delle filiere dall’estero, dopo l’impennata dei prezzi verificatasi nelle scorse settimane. "Tali colture, però, hanno bisogno di ingenti quantità d’acqua per consentire la lavorazione dei terreni e la germinazione: si pone da subito un problema di irrigazione", sottolinea Massimiliano Bernabini, presidente di Coldiretti Forlì-Cesena.
La decisione dell’Unione Europea – il via libera alla coltivazione di ulteriori 4 milioni di ettari di terreno in tutta Europa, dei quali 200mila in Italia – rappresenta tuttavia, secondo Coldiretti, una preziosa opportunità da cogliere. Tra le regioni più interessate, peraltro, c’è proprio l’Emilia Romagna, con almeno 20.200 ettari da destinare alla coltivazione di mais per gli allevamenti, grano duro per la pasta e tenero per il pane.
Complessivamente, in Italia la produzione di cereali potrebbe in tal modo aumentare di 15 milioni di quintali: un quantitativo che, nel medio periodo, può crescere di almeno cinque volte, con la messa a coltura di un ulteriore milione di ettari, progressivamente abbandonati per insufficiente redditività, per gli attacchi della fauna selvatica e, appunto, per colpa della siccità. Una sete ormai drammatica, aggravata dalla tropicalizzazione del clima, caratterizzato da precipitazioni concentrate in brevi periodi, in mezzo a lunghi periodi siccitosi.
"Un fenomeno estremo che va combattuto – conclude Bernabini - con "investimenti strutturali a lungo termine, finalizzati a realizzare una rete di piccoli invasi: veri e propri laghetti, capaci di conservare l’acqua piovana e ridistribuirla quando e dove necessario".